Il vescovo Giovanni scrive ai pratesi in vista delle elezioni del 25 settembre

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Lettera agli elettori

A tutti i giovani, le donne e gli uomini
della nostra città;
a tutti i fedeli della Chiesa pratese;
a tutti i credenti di qualsiasi fede e nazionalità.

 

 

Il prossimo 25 settembre saremo chiamati nuovamente alle urne per esprimere, con il nostro voto, come e da chi desideriamo essere governati. Mi pare che queste elezioni assumano un carattere molto particolare che non si esaurisce nell’indicazione di una preferenza tra sinistra, centro o destra ma rappresentino un invito a prendere atto dei gravi “fallimenti” registrati in questi decenni a tutti i livelli, nazionale e sovranazionale, ed in tutti gli ambiti, economico e sociale, soprattutto perché le varie leadership nazionali e sovranazionali si sono rivelate inadeguate ad affrontare le emergenze e le grandi sfide attuali non riuscendo ad individuare percorsi significativi e condivisi per la loro soluzione.

 

Sembra però, a guardare le proiezioni, che nell’elettorato italiano non ci sia la percezione della criticità della situazione se consideriamo che al momento, i maggiori consensi li raccoglie il “partito delle astensioni” stimato intorno al 40% dell’intero corpo elettorale, del quale farebbe parte una larga fascia di giovani. Si comprendono i tanti i delusi dalle attese suscitate da programmi e promesse elettorali poi tradite dai pochissimi significativi cambiamenti. Molti sono quelli che passando da differenti esperienze politiche e da una partecipazione vissuta hanno poi constatato infruttuoso il proprio lavoro, mortificata la propria passione fino a sviluppare un sospetto risentito ed a volte cinico verso il mondo della politica in generale. Ma ciò non toglie che abbandonare il campo, rinunciare ad una presa di posizione non rende la realtà che viviamo migliore, e non contribuisce certo a creare condizioni nuove, a vincere le sfide che ci stanno di fronte. E se per un cristiano la PARTECIPAZIONE alla vita politica è un dovere che scaturisce direttamente dal principio della carità e dalla speranza generate dalla fede nel Signore Gesù, per tutti è evidente che solo nella partecipazione diretta, qualificata e consapevole e condivisa è sicuramente possibile cambiare in meglio anche le realtà più compromesse.

 

Il vero nodo della questione è riconducibile all’idea che abbiamo della democrazia. “A scuola ci hanno insegnato che la politica si fa andando a votare ogni cinque anni (in Italia non abbiamo assimilato neanche questa regolarità). Nel mezzo il niente. E così la maggioranza delle persone hanno sempre fatto. “Ci hanno ingannato. La politica si fa ogni giorno, ogni momento della nostra esistenza. Al supermercato ed in banca, sul posto di lavoro e nel tempo libero, in cucina e all’edicola. Scegliendo cosa leggere, da quale fonte informarsi, quale lavoro svolgere e quanto consumare. Vivendo in maniera cosciente i gesti più minuti della nostra vita rafforziamo un modello economico sostenibile o di saccheggio, sosteniamo imprese responsabili o vampiresche, contribuiamo a costruire la democrazia o a demolirla, sosteniamo una economia solidale e dei diritti o una economia animalesca e di sopraffazione reciproca” (Francesco Gesualdi. “Risorsa umana”. San Paolo, 2015).

 

Don Milani inesauribile maestro di vita metteva in guardia: “dobbiamo avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazione, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto”. L’antidoto ai grandi guasti ed all’impotenza è il senso di responsabilità, “non per tormentarsi, ma per agire, sapendo che siamo così importanti da poter cambiare il sistema”.

 

La protesta è legittima, l’indifferenza no. Lo scendere in piazza, protestare, contestare è opportuno, anzi doveroso; chiudere la finestra far finta di non vedere sperando che poi il “caso” (che non esiste) risolva le questioni non è ammissibile. Lo ribadisco con forza: questo è proprio il momento di riprendere una partecipazione, piena, intelligente, collaborativa e costruttiva. Ciascuno la combatta dalla parte che ritiene più confacente ai propri orientamenti. Aiutiamo le formazioni politiche, i partiti ad abbassare i toni della polemica con la quale non si edifica. Nessuno poi è il deus ex machina della situazione che da solo possa individuare strategie vincenti e per costruire qualcosa di stabile e duraturo occorre la partecipazione di tutti gli attori coinvolti.

 

Aiutiamo i partiti a mettere a fuoco le varie e vere problematiche rifuggendo le soluzioni “facili” e accomodanti come pure quelle che stringendo troppo lo sguardo in un’ottica egoistica, non perseguono il bene comune, che riguarda tutti senza esclusioni e senza discriminazioni.

 

È legittimo che le questioni locali e nazionali trovino adeguato spazio, ma appare sempre più evidente (la questione energetica ne è una dolorosa riprova) che la interdipendenza in tutte le questioni decisive esige un’ottica diversa e nuova di responsabilità a tutti i livelli. Sottraiamoci dalla facile ed ingenua suggestione che si può rimettere a posto la sola cucina (il nostro micro-mondo, l’Italia) mentre la casa intera (l’Europa, il mondo) sta crollando sotto gli scossoni del terremoto. Purtroppo in noi la vastità e la complessità dei problemi fanno scattare un senso di impotenza; dall’altra vince una certa miopia che concentrando l’attenzione sulle sole questioni che “sembrano riguardarci” più direttamente produce disinteresse e indifferenza.

 

Per dare concretezza al mio discorso vorrei richiamare tre grandi ineludibili emergenze
Vorrei richiamare soltanto tre di queste grandi emergenze:

 

1) Lo sfruttamento selvaggio, dissennato delle risorse naturali e l’inquinamento causa dei cambiamenti climatici. Siamo andati avanti per anni facendo finta di non vedere o addirittura negando ciò che era sotto gli occhi di tutti e solo oggi di fronte a catastrofi naturali particolarmente devastanti, si comincia ad ammetterne la verità ed a riconoscerne almeno parzialmente, le cause facendo comunque tanta fatica ad individuare e adottare strategie correttive serie ed adeguate. Non solo abbiamo ricoperto terre ed oceani di rifiuti, seppellito veleni che rendono inutilizzabili vasti territori e nocivi i prodotti della terra ma siamo andati avanti incuranti dei segnali che preannunciavano il collasso. Molti non sanno che i biologi hanno rintracciato persino nel corpo umano tracce significate di microplastiche (volgare plastica). Si stima che in una settimana ognuno ingerisca queste sostanze equivalenti alla tessera del bancomat. Timide ancora le risposte, incerte a volte ambigue o ciniche le posizioni di società e governi cosiddetti “civili”. Non molti anni fa Cina ed Usa si sono sottratte agli impegni sottoscritti alla conferenza sul clima di Parigi riaffermando il loro diritto ad usare idrocarburi (ritenuti i principali responsabili dell’inquinamento) per sospingere le loro industrie e creare “ricchezza” (La Cina emette più anidride carbonica di Stati Uniti, Unione europea e Giappone messi insieme). Oggi non si tratta soltanto di procedere ad una azione di “bonifica” e “ripulitura” di ciò che abbiamo compromesso quanto di assumere una prospettiva nuova che è quella indicataci da Papa Francesco: una ECOLOGIA INTEGRALE la quale chiude con un passato che non ha mai saputo unire le priorità in gioco ma di volta in volta ne ha privilegiate una a scapito dell’altra. Il caso più clamoroso in questo ambito è rappresentato dall’ILVA di Taranto: L’esigenza di avere posti di lavoro motore trainante per lo sviluppo di un territorio (quello tarantino) è stata pagata a carissimo prezzo dalla salute di migliaia di cittadini. Ambiente è certamente ecologia, ma “ecologia integrale” cioè coscienza di uno spazio fatto di una pluralità di dimensioni dove l’ecosistema si interseca con il tessuto sociale e le due cose si influenzano in modo speculare. Prato in questo senso è stato ed è un grande laboratorio ed un luogo dove registrare alcuni “guasti”. Lo sviluppo del macrolotto, rispondeva a necessità industriali che però, all’epoca, non si sono interrogate sul suo impatto ambientale, su cosa significava in termini di necessità di fornire energia e risorse per far funzionare un comparto industriale (il tessile) fra i più energivori. E come poi tutto questo ha inciso sul tessuto sociale, sulle relazioni?

 

2) La crescita delle povertà a livello mondiale (quasi un miliardo) di persone soffre la fame ed in Italia secondo i rapporti dell’ISTAT del 2021 sono in condizione di povertà assoluta poco più di 1,9 milioni di famiglie (7,5 del totale) e circa 5,6 milioni di individui. Le nostre società “producono” povertà, “scarti” umani, emarginazione. Attualmente, l’87% della popolazione mondiale (pari a circa 5,9 miliardi di persone) accede a fonti di acqua potabile, mentre quasi il 39% (pari a oltre 2,6 miliardi di persone) non dispone di servizi igienico-sanitari di base. In un contesto tanto compromesso neppure il ricco ed attivissimo volontariato riesce ad incidere significativamente ma solo ad attenuare la drammaticità delle conseguenze. Anche su questo tema la nostra Prato è stata terra profetica, che ha fatto prima di altre parti d’Europa l’esperienza delle conseguenze più gravi e dolorose di una globalizzazione che troppo spesso è stata spinta nella direzione di una massimizzazione i profitti a scapito della dignità del lavoro, del valore di interi tessuti sociali e culturali, della ricchezza di una diversità e di una operosità sacrificate in nome di un guadagno facile, qui e ora. I dati sulla povertà, che riguardano anche la nostra città, richiedo politiche innovative che mettendosi alle spalle logiche egoistiche e nazionalistiche si facciano carico del destino di tutti i popoli come dei singoli uomini. Ci stiamo gradualmente abituando tutti ad accettare come ineluttabile e normale che milioni di persone non possano condurre una esistenza dignitosa come la nostra, e che nel mondo la forbice tra poveri e ricchi si allarghi costantemente. Le previsioni a livello nazionale per i prossimi mesi di ottobre e novembre, considerata la crisi energetica ed il rincaro delle bollette, sono destinate ad aggravare sensibilmente la situazione almeno per l’Italia. La chiave di svolta in questo ambito è sicuramente rappresentata dal LAVORO che i nostri costituenti hanno inteso mettere a fondamento della nostra repubblica. Non il lavoro degradante, sfruttato, disumano che esige sempre di più fino a rendere, in alcuni casi, schiavi i soggetti garantendo sempre di meno condizioni accettabili di vita ed il soddisfacimento dei bisogni fondamentali dell’uomo. Serve un lavoro dignitoso, che dà dignità alla persona, valorizza le sue capacità permettendogli una esistenza normale e la realizzazione delle aspirazioni più profonde, come quelle di avere una famiglia, coltivate ad ogni essere umano. Io non ho risposte e mi rendo conto leggendo che infinite sono le teorie ed insanabili le divergenze su questo tema, ma drammatica resta la realtà. E’ certo però che la competizione sempre più accentuata costringe aziende ed operai ad impegni professionali sempre più gravosi per battere la concorrenza e così si cerca di risparmiare sempre a scapito del lavoratore costretto a volte ad abbandonare il posto per mantenere un equilibrio psicologico soddisfacente. Molte delle nostre aziende pratesi su questo aspetto hanno credo da dirci ed insegnare davvero molto.

 

3) Il riaccendersi di un altro conflitto in Europa. A distanza di pochi decenni dalla guerra dei Balcani siamo tornati a combattere nel vecchio continente. Le cause sono profonde e remote. Si è chiuso il novecento ma non ci siamo lasciati alle spalle imperialismi, nazionalismi, guerre di religioni, brama di potere e ricchezze e quant’altro. E quello che abbiamo davanti è la brutalità della guerra “inutile strage”, carnefice di vite umane. Ancora giovani e giovanissimi mandati al macello inseguendo ideali falsi, obbedienze assurde. Vogliamo sradicata ogni ingiustizia ogni prevaricazione e oppressione di un popolo contro un altro
Noi non ci accontentiamo di vedere la guerra cessare. Vogliamo la pace, la vogliamo costruire, per tutti i popoli, per ogni uomo. Vogliamo fare nostro il pensiero dell’apostolo Paolo: “Raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio”. Solo la pace, quella vera garantisce ad ogni uomo “una vita calma e tranquilla, dignitosa”, per il raggiungimento della quale occorrono le preghiere di quanti credono ma un concorso unanime di singoli e gruppi, “artigiani della pace” che, ciascuno nel suo ambito e secondo le sue possibilità vogliono e riescono a portare il loro contributo.
All’indomani dello scoppio della guerra russo-ucraina 1300 studenti, dottorandi e dipendenti del MGIMO l’università del ministero degli affari esteri russo in cui vengono formati i futuri diplomatici del paese, in una lettera aperta hanno chiesto che si sospendessero i combattimenti restituendo alla diplomazia ed al dialogo la soluzione delle controversie sul campo. Questo un passaggio importante: “Consideriamo moralmente inaccettabile metterci da parte e rimanere in silenzio quando le persone muoiono in uno Stato vicino. Muoiono per colpa di chi ha preferito le armi alla diplomazia pacifica.
Nel corso della sua storia, la Russia ha ripetutamente difeso i deboli e li ha sostenuti, e ciò anche quando il prezzo da pagare era alto. I leader del nostro paese hanno risolto pacificamente situazioni di crisi difficilissime, e ciò nonostante tutte le differenze ideologiche. Chiediamo che questa tradizione di politica estera continui anche oggi: che si ritirino le truppe dal territorio dell’Ucraina, che si fermino i bombardamenti delle città ucraine e che si avvii un processo negoziale franco, senza ultimatum e richieste di resa dell’altra parte”. Questi uomini e donne si sono messi in gioco fino in fondo pagando di persona il coraggio della verità. Perché questo appello non ha trovato anche in occidente accoglienza e rispondenza? Perché spesso ci si pone di fronte a queste crisi più da “tifosi” che da intelligenti “costruttori di dialogo e di pace”?

 

Ciò che appare inaccettabile ed immorale è la costruzione ed il commercio di armi che ha raggiunto nello scorso, anno la spesa complessiva di 2113 miliardi di dollari pari al 2,2% del Pil globale (dati Sipri). Possiamo tollerare che risorse tanto ingenti vengano sottratte ad un fine di crescita di quella parte del mondo che ancora è privata di beni e servizi primari per essere investita in armamenti che vanno ad alimentare inevitabilmente i conflitti nelle tante parti del mondo?
Nel 1961 la crisi di Cuba portò il mondo intero sulla soglia di una terza guerra mondiale. L’Urss aveva tentato di installare nell’isola di Cuba basi missilistiche dalle quali sarebbe stato facilissimo bombardare gli Stati Uniti, il cui Presidente Kennedy reagì duramente ottenendo lo smantellamento delle basi dall’allora segretario del Partito Comunista sovietico Krusciov. Il contesto odierno è profondamente diverso, eppure servirebbe ricordare l’esempio di una lucida saggezza che in quel contesto comprese gli esiti disastrosi di un conflitto armato condotto fino in fondo. Dovremmo chiederci se oggi siamo davvero in grado, come allora fecero Kennedy e Krusciov, di valutare tutte le conseguenze di questo conflitto e se siamo consapevoli dei rischi che corre l’umanità. Più ancora: stiamo affrontando la tragedia di questo conflitto con il realismo necessario? È davvero pensabile, per una umanità che di fronte alle grandi sfide scopre di appartenere ad un comune futuro, portare avanti una politica di potenza ed egemonia, fondata sulla retorica della grandezza della nazione? E possono davvero garantire pace e sicurezza dispositivi politici e militari pensati per un mondo, quello della Guerra Fredda, consegnato da tempo alla storia?
È lecito domandarsi come mai con questo precedente in questi anni dopo la fine dell’Urss, si sono posizionati missili Nato in molti paesi confinanti con la Russia, atti difficilmente classificabili come non ostili? Se quindi la politica di Putin è assolutamente condannabile ci si chiede che giudizio serio ed onesto esprimere sugli altri attori responsabili della politica internazionale.

 

E nasce anche spontanea la domanda se la Nato sia ancora lo strumento adeguato a garantire la difesa e la pace o se oggi non servano differenti approcci.
Carissimi, comunque vadano le elezioni il 26 settembre ci ritroveremo davanti ancora ciascuno e tutti questi problemi e l’alternativa se farsene carico o lasciare che le cose procedano secondo le vecchie logiche sarà ancora unicamente nelle nostre mani. Auspico che tutti noi sappiamo raccogliere con determinazione la sfida.

 

 

Un cordiale saluto unito all’augurio di un impegno davvero straordinario.

 

 

Prato, 16 settembre 2022

 

 

+ Giovanni Nerbini
Vescovo di Prato

 

Il testo della lettera in formato pdf

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