L’omelia del vescovo Giovanni nel giorno di Santo Stefano

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Carissimi, un saluto alle autorità presenti e a tutti voi, ai sacerdoti presenti, ai diaconi e ai religiosi,
Siamo riuniti per far festa al nostro patrono S. Stefano. In che cosa il nostro ritrovarci insieme è diverso da quello di tante altre occasioni – e ce ne sono di frequenti? e cosa le parole e la vita del santo martire Stefano hanno da insegnarci oggi poi, di fronte alle sfide che ci troviamo ad affrontare?

 
1) Stefano è un uomo di fede, ha fatto una scelta di campo che l’ha portato a divenire seguace di Gesù, non con una religiosità astratta, né di divisione né di contrapposizione. Tutt’altro. Egli è individuato e scelto dalla comunità dei credenti per un servizio concreto: le mense pubbliche; evidentemente tutti gli riconoscevano le caratteristiche necessarie e le capacità indispensabili per quell’incarico: il suo è un servizio a favore degli ultimi del tempo, senza onori, senza pretese e tornaconti. Come pure morente tiene fermo l’atteggiamento del suo maestro e Signore attuando il suo comando: nella preghiera intercede per il perdono dei suoi carnefici: fino in fondo persegue il bene di tutti.

 
2) Proprio questo mi pare essere il primo punto da mettere tra le priorità nella vita sociale della nostra città: ricercare il bene comune, rimettere questa parola all’attenzione di tutti in un grande e rinnovato sforzo educativo teso a coinvolgere tutti in questa responsabilità perché a tutti essa appartiene, non solo ai poteri costituiti civili e religiosi, ma ad ogni cittadino, a cominciare dall’età scolare. Fino ad oggi, un po’ ovunque si era diffusa l’abitudine a considerare virtù il pensare “agli affari propri”; in realtà molto spesso questo detto nascondeva e nasconde forme di egoismo mascherato DI PERBENISMO. Quando ciascuno pensa agli affari propri la società si frantuma, i servizi diminuiscono e risultano inadeguati, l’individuo, a cominciare dai più deboli, soffre di mancanza di relazioni, stabili, significative e pervasive. Noi apparteniamo a quella che impropriamente viene chiamata la “civiltà del benessere”. In realtà abbiamo stabilito un rapporto implicito di causa effetto fra abbondanza di risorse economiche in primis, e il benessere della persona immersa in questo stato. La realtà ci fa prendere atto ogni giorno che da una parte un numero di persone crescente si allontana da una condizione economica agiata ( famiglie a rischio povertà in aumento), dall’altra che questa AGIATEZZA da sola non produce effetti soddisfacenti e diffusi. Madre Teresa raccontava la sua prima esperienza in un ricovero per anziani in Inghilterra dove i bisogni fondamentali erano garantiti e soddisfatti. Si era resa conto che le persone guardavano costantemente verso la porta. “Aspettano sempre che qualcuno venga a trovarli – fu la risposta di una assistente – in realtà non si presenta quasi mai nessuno. Ricordo un vecchio parrocchiano che mi raccontava di veder passare sotto casa l’unico nipote nei suoi spostamenti, “ma solo raramente si ferma” il suo amaro sfogo. In questo contesto il rivolgersi solo e sempre ai pubblici servizi è una vera e propria fuga inconcludente. Il “beneavere” non è sufficiente per generare “benessere”

 
3) Paolo VI nella Popolorum progressio scrive:
“Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere sviluppo autentico, dev’essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo.
Il nostro cammino, quello della società pratese intera, non può essere volto solo a creare ricchezza, ma deve coltivare l’attenzione che da questa non sia escluso nessuno, ma anche che miri alla PROMOZIONE DI TUTTO L’UOMO. Processi di inclusione e condivisione esistenti sono buona cosa e vanno costantemente monitorati. Ieri nella visita ad una struttura pubblica quanti stranieri GIOVANI ho trovato che non sanno ancora pronunciare una parola di italiano.
E questo contesto, oltre alla scelta di Stefano, ci rimanda alle associazioni di volontariato a prato particolarmente numerose ed efficienti che svolgono un servizio straordinario, di incalcolabile portata. Non rammento nessuno per non cadere in omissioni o preferenze imperdonabili. Ma esse possono giocare credo un ruolo decisivo in questo obiettivo che è lo sviluppo di “TUTTO L ‘UOMO”, per curare le disuguaglianze, supplire alle carenze che minacciano l’integrità dell’uomo nelle sue dimensioni umana, relazionale, spirituale, lavorativa. Si vedono già fiorire nuove iniziative che a breve offriranno nuovi servizi, altre ne abbiamo già visitate ci hanno stupito per efficienza e abbondanza di offerta. A Prato il verbo “FARE” appartiene al DNA collettivo. C’è una propensione al “ripartire” con le maniche rimboccate che ci fa ben sperare in un futuro ricco di opportunità lavorative. Forse oggi però ci viene chiesto un supplemento di impegno. Abbiamo bisogno a parer mio di PENSARE e RIFLETTERE di più e PROGETTARE MEGLIO, tutti insieme, senza distinzioni e divisioni, senza inutili polemiche. Che immagine di persona abbiamo di fronte?
Come costruire un tessuto sociale coeso e condiviso nei valori e nelle finalità? La parola “COMUNITA’ “ così suggestiva la scegliamo ancora e può suggerirci differenti ma importanti opzioni di impegno oppure dobbiamo archiviarla perché ormai obsoleta e inservibile? Questo mettere al centro tutto l’uomo può aiutarci a recuperare dimensioni trascurate che causano tanta solitudine, sofferenza e malattie e quindi nuove POVERTA’? Evidentemente questa sfida richiede che superiamo contrapposizioni ed esclusioni e d’altra parte esige che tutti siano coinvolti in questi processi innovativi e quindi ben vengano le occasioni nelle quali anche le comunità straniere che ormai sono parte integrante di Prato possano dialogare tra di loro, offrire il loro contributo di impegno, mettere in gioco le loro ricchezze umane e culturali.

 
C’è un ultimo aspetto che mi piaceva almeno sfiorare. Nell’era della globalizzazione è impensabile lo sguardo miope con il quale guardiamo alla nostra condizione privata nella illusione di poter garantirci da soli un futuro migliore. Il rapporto di interdipendenza ci lega sempre più strettamente gli uni agli altri ed alla casa comune che abitiamo. Siamo invitati, sarebbe meglio dire COSTRETTI ormai a rimettere la questione ambientale-ecologica al centro della nostra attenzione. Le spetta senz’altro il primo posto. La custodia e salvaguardia del creato ci competono senza distinzioni, senza sconti. E’ illusorio e puerile, rimettere a posto la propria cameretta mentre la casa intera rischia di essere spazzata via dall’alluvione E non siamo lontani da questa infausta possibilità conseguenza delle nostre leggerezze. Nelle criticità che il mondo ci presenta tutti anche i sacerdoti si devono occupare non solo del gregge ma dell’intero ovile.

 
Le sfide sono grandi e a volte ci spaventano. Le risorse umane non sono da meno. Hanno solo bisogno di essere riattivate, rimesse con ordine in movimento. Chiediamo a Santo Stefano e a Maria madre di Cristo la lucidità di mente e la forza d’animo per non perdere nessuna occasione e di saper lavorare e dare la vita per questa nostra terra, questa nostra famiglie umana questo tempo nel quale siamo stati messi per essere testimoni, ma anche costruttori di pace e di civiltà.

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