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Alluvione, l’invito del vescovo Giovanni ai sacerdoti: «importante la vicinanza alla nostra gente»

Dalla terribile notte dell’alluvione il vescovo di Prato Giovanni Nerbini sta seguendo con apprensione la gravi difficoltà che sta vivendo il territorio diocesano e in particolare le persone che hanno direttamente subito danni e la perdita di persone care.

 

La Diocesi si è messa immediatamente in contatto con la Protezione civile per far fronte all’emergenza e ha deciso di mettere a disposizione una parte del Museo di San Domenico come centro di accoglienza per gli sfollati. La Caritas diocesana è in collegamento con le parrocchie più colpite dall’alluvione e si sta organizzando per promuovere iniziative di solidarietà che saranno comunicate nelle prossime ore.

 

Monsignor Nerbini ha poi invitato i sacerdoti pratesi a proseguire nel loro impegno a favore della popolazione. «Crediamo che sia importante, al di là degli aiuti materiali, la vicinanza alla nostra gente – ha scritto il Vescovo al clero diocesano – la condivisione delle loro sofferenze e preoccupazioni, il sostegno nella solitudine e nei disagi, nei quali qualcuno può essersi trovato. La solidarietà è sempre stata prerogativa dei pratesi! Sono proprio situazioni come queste che devono trovarci ancora più sensibili e pronti a farci vicini a tutti coloro che sono nel bisogno per attenuare le difficoltà e lenire le inevitabili sofferenze».

La Via Crucis con il Vescovo per i malati e i detenuti

La croce al carcere della Dogaia e all’ospedale Santo Stefano di Prato. Due luoghi periferici e di sofferenza vivranno insieme al vescovo Giovanni Nerbini la passione di Cristo in attesa della resurrezione di Pasqua. «È un segno di speranza che intendiamo rinnovare con i detenuti e i malati, persone che attendono di poter superare la loro condizione per tornare alla vita», spiega monsignor Nerbini.

 

Lunedì 3 aprile, alle ore 18, è in programma il rito della Via Crucis alla casa circondariale della Dogaia. Insieme al cappellano don Enzo Pacini, il Vescovo toccherà le stazioni sistemate all’esterno, lungo i muri perimetrali del carcere. «I detenuti potranno affacciarsi alle finestre e seguire le preghiere e le invocazioni che proporremo – aggiunge monsignor Nerbini –, se fossimo andati all’interno avrebbero potuto partecipare soltanto coloro che vivono in quella sezione». All’iniziativa sono stati coinvolti i volontari, i catechisti e i membri del Gruppo Barnaba che svolgono servizio in carcere in collaborazione con don Enzo. Il Vescovo tornerà alla Dogaia la domenica di Pasqua per celebrare la prima messa del giorno, alle 8,30, per i detenuti.

 

Il venerdì santo, come avviene ormai dal primo anno della pandemia, il vescovo Giovanni guiderà la Via Crucis all’ospedale Santo Stefano. Alle 15,30 la croce percorrerà il perimetro esterno del nosocomio, con le stazioni curate dalla cappellania ospedaliera guidata da don Carlo Bergamaschi e dalle associazioni impegnate nell’ambito sanitario. L’idea, nata durante il Covid, è stata apprezzata fin da subito dai degenti del Santo Stefano, dal personale sanitario, ma anche dalla città.

 

Vivere insieme al Vescovo uno dei momenti centrali del triduo dove ci sono dolore e preoccupazioni, testimonia la volontà della Chiesa di Prato di portare conforto e attenzione nei confronti di coloro che soffrono.

 

Il vescovo Giovanni nei vicariati per incontrare i giovani delle parrocchie

Conoscersi, confrontarsi, parlare ma soprattutto ascoltare. Il vescovo Giovanni lo aveva annunciato al Convegno pastorale: nel tempo di Avvento inizierà un giro della diocesi, vicariato per vicariato, per incontrare i giovani delle parrocchie. Si comincia mercoledì 16 novembre in Valbisenzio, alla badia di Vaiano, per concludere martedì 6 dicembre in Sant’Agostino con il vicariato del centro storico. «Sono incontri in preparazione al Natale e lo stile sarà quello sinodale – spiega il vescovo Giovanni –: partiremo da un brano del Vangelo e poi lo commenteremo insieme. Sarà una chiacchierata aperta al confronto».

Tutti gli incontri iniziano alle ore 21, sono aperti a tutti i giovani dai 14 anni in poi e terminano con un momento conviviale preparato dalla parrocchia accogliente.

 

Il calendario

Vicariato Valbisenzio – mercoledì 16 novembre a Vaiano

Vicariato Prato nord – lunedì 21 novembre a Galcetello

Vicariato Prato est – mercoledì 23 novembre alla Castellina

Vicariato Prato sud est – lunedì 28 novembre a Grignano

Vicariato Prato sud ovest – mercoledì 30 novembre a San Pietro a Iolo

Vicariato Prato ovest – lunedì 5 dicembre a San Paolo

Vicariato Prato centro – martedì 6 dicembre a Sant’Agostino

Il vescovo Giovanni scrive ai pratesi in vista delle elezioni del 25 settembre

Lettera agli elettori

A tutti i giovani, le donne e gli uomini
della nostra città;
a tutti i fedeli della Chiesa pratese;
a tutti i credenti di qualsiasi fede e nazionalità.

 

 

Il prossimo 25 settembre saremo chiamati nuovamente alle urne per esprimere, con il nostro voto, come e da chi desideriamo essere governati. Mi pare che queste elezioni assumano un carattere molto particolare che non si esaurisce nell’indicazione di una preferenza tra sinistra, centro o destra ma rappresentino un invito a prendere atto dei gravi “fallimenti” registrati in questi decenni a tutti i livelli, nazionale e sovranazionale, ed in tutti gli ambiti, economico e sociale, soprattutto perché le varie leadership nazionali e sovranazionali si sono rivelate inadeguate ad affrontare le emergenze e le grandi sfide attuali non riuscendo ad individuare percorsi significativi e condivisi per la loro soluzione.

 

Sembra però, a guardare le proiezioni, che nell’elettorato italiano non ci sia la percezione della criticità della situazione se consideriamo che al momento, i maggiori consensi li raccoglie il “partito delle astensioni” stimato intorno al 40% dell’intero corpo elettorale, del quale farebbe parte una larga fascia di giovani. Si comprendono i tanti i delusi dalle attese suscitate da programmi e promesse elettorali poi tradite dai pochissimi significativi cambiamenti. Molti sono quelli che passando da differenti esperienze politiche e da una partecipazione vissuta hanno poi constatato infruttuoso il proprio lavoro, mortificata la propria passione fino a sviluppare un sospetto risentito ed a volte cinico verso il mondo della politica in generale. Ma ciò non toglie che abbandonare il campo, rinunciare ad una presa di posizione non rende la realtà che viviamo migliore, e non contribuisce certo a creare condizioni nuove, a vincere le sfide che ci stanno di fronte. E se per un cristiano la PARTECIPAZIONE alla vita politica è un dovere che scaturisce direttamente dal principio della carità e dalla speranza generate dalla fede nel Signore Gesù, per tutti è evidente che solo nella partecipazione diretta, qualificata e consapevole e condivisa è sicuramente possibile cambiare in meglio anche le realtà più compromesse.

 

Il vero nodo della questione è riconducibile all’idea che abbiamo della democrazia. “A scuola ci hanno insegnato che la politica si fa andando a votare ogni cinque anni (in Italia non abbiamo assimilato neanche questa regolarità). Nel mezzo il niente. E così la maggioranza delle persone hanno sempre fatto. “Ci hanno ingannato. La politica si fa ogni giorno, ogni momento della nostra esistenza. Al supermercato ed in banca, sul posto di lavoro e nel tempo libero, in cucina e all’edicola. Scegliendo cosa leggere, da quale fonte informarsi, quale lavoro svolgere e quanto consumare. Vivendo in maniera cosciente i gesti più minuti della nostra vita rafforziamo un modello economico sostenibile o di saccheggio, sosteniamo imprese responsabili o vampiresche, contribuiamo a costruire la democrazia o a demolirla, sosteniamo una economia solidale e dei diritti o una economia animalesca e di sopraffazione reciproca” (Francesco Gesualdi. “Risorsa umana”. San Paolo, 2015).

 

Don Milani inesauribile maestro di vita metteva in guardia: “dobbiamo avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazione, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto”. L’antidoto ai grandi guasti ed all’impotenza è il senso di responsabilità, “non per tormentarsi, ma per agire, sapendo che siamo così importanti da poter cambiare il sistema”.

 

La protesta è legittima, l’indifferenza no. Lo scendere in piazza, protestare, contestare è opportuno, anzi doveroso; chiudere la finestra far finta di non vedere sperando che poi il “caso” (che non esiste) risolva le questioni non è ammissibile. Lo ribadisco con forza: questo è proprio il momento di riprendere una partecipazione, piena, intelligente, collaborativa e costruttiva. Ciascuno la combatta dalla parte che ritiene più confacente ai propri orientamenti. Aiutiamo le formazioni politiche, i partiti ad abbassare i toni della polemica con la quale non si edifica. Nessuno poi è il deus ex machina della situazione che da solo possa individuare strategie vincenti e per costruire qualcosa di stabile e duraturo occorre la partecipazione di tutti gli attori coinvolti.

 

Aiutiamo i partiti a mettere a fuoco le varie e vere problematiche rifuggendo le soluzioni “facili” e accomodanti come pure quelle che stringendo troppo lo sguardo in un’ottica egoistica, non perseguono il bene comune, che riguarda tutti senza esclusioni e senza discriminazioni.

 

È legittimo che le questioni locali e nazionali trovino adeguato spazio, ma appare sempre più evidente (la questione energetica ne è una dolorosa riprova) che la interdipendenza in tutte le questioni decisive esige un’ottica diversa e nuova di responsabilità a tutti i livelli. Sottraiamoci dalla facile ed ingenua suggestione che si può rimettere a posto la sola cucina (il nostro micro-mondo, l’Italia) mentre la casa intera (l’Europa, il mondo) sta crollando sotto gli scossoni del terremoto. Purtroppo in noi la vastità e la complessità dei problemi fanno scattare un senso di impotenza; dall’altra vince una certa miopia che concentrando l’attenzione sulle sole questioni che “sembrano riguardarci” più direttamente produce disinteresse e indifferenza.

 

Per dare concretezza al mio discorso vorrei richiamare tre grandi ineludibili emergenze
Vorrei richiamare soltanto tre di queste grandi emergenze:

 

1) Lo sfruttamento selvaggio, dissennato delle risorse naturali e l’inquinamento causa dei cambiamenti climatici. Siamo andati avanti per anni facendo finta di non vedere o addirittura negando ciò che era sotto gli occhi di tutti e solo oggi di fronte a catastrofi naturali particolarmente devastanti, si comincia ad ammetterne la verità ed a riconoscerne almeno parzialmente, le cause facendo comunque tanta fatica ad individuare e adottare strategie correttive serie ed adeguate. Non solo abbiamo ricoperto terre ed oceani di rifiuti, seppellito veleni che rendono inutilizzabili vasti territori e nocivi i prodotti della terra ma siamo andati avanti incuranti dei segnali che preannunciavano il collasso. Molti non sanno che i biologi hanno rintracciato persino nel corpo umano tracce significate di microplastiche (volgare plastica). Si stima che in una settimana ognuno ingerisca queste sostanze equivalenti alla tessera del bancomat. Timide ancora le risposte, incerte a volte ambigue o ciniche le posizioni di società e governi cosiddetti “civili”. Non molti anni fa Cina ed Usa si sono sottratte agli impegni sottoscritti alla conferenza sul clima di Parigi riaffermando il loro diritto ad usare idrocarburi (ritenuti i principali responsabili dell’inquinamento) per sospingere le loro industrie e creare “ricchezza” (La Cina emette più anidride carbonica di Stati Uniti, Unione europea e Giappone messi insieme). Oggi non si tratta soltanto di procedere ad una azione di “bonifica” e “ripulitura” di ciò che abbiamo compromesso quanto di assumere una prospettiva nuova che è quella indicataci da Papa Francesco: una ECOLOGIA INTEGRALE la quale chiude con un passato che non ha mai saputo unire le priorità in gioco ma di volta in volta ne ha privilegiate una a scapito dell’altra. Il caso più clamoroso in questo ambito è rappresentato dall’ILVA di Taranto: L’esigenza di avere posti di lavoro motore trainante per lo sviluppo di un territorio (quello tarantino) è stata pagata a carissimo prezzo dalla salute di migliaia di cittadini. Ambiente è certamente ecologia, ma “ecologia integrale” cioè coscienza di uno spazio fatto di una pluralità di dimensioni dove l’ecosistema si interseca con il tessuto sociale e le due cose si influenzano in modo speculare. Prato in questo senso è stato ed è un grande laboratorio ed un luogo dove registrare alcuni “guasti”. Lo sviluppo del macrolotto, rispondeva a necessità industriali che però, all’epoca, non si sono interrogate sul suo impatto ambientale, su cosa significava in termini di necessità di fornire energia e risorse per far funzionare un comparto industriale (il tessile) fra i più energivori. E come poi tutto questo ha inciso sul tessuto sociale, sulle relazioni?

 

2) La crescita delle povertà a livello mondiale (quasi un miliardo) di persone soffre la fame ed in Italia secondo i rapporti dell’ISTAT del 2021 sono in condizione di povertà assoluta poco più di 1,9 milioni di famiglie (7,5 del totale) e circa 5,6 milioni di individui. Le nostre società “producono” povertà, “scarti” umani, emarginazione. Attualmente, l’87% della popolazione mondiale (pari a circa 5,9 miliardi di persone) accede a fonti di acqua potabile, mentre quasi il 39% (pari a oltre 2,6 miliardi di persone) non dispone di servizi igienico-sanitari di base. In un contesto tanto compromesso neppure il ricco ed attivissimo volontariato riesce ad incidere significativamente ma solo ad attenuare la drammaticità delle conseguenze. Anche su questo tema la nostra Prato è stata terra profetica, che ha fatto prima di altre parti d’Europa l’esperienza delle conseguenze più gravi e dolorose di una globalizzazione che troppo spesso è stata spinta nella direzione di una massimizzazione i profitti a scapito della dignità del lavoro, del valore di interi tessuti sociali e culturali, della ricchezza di una diversità e di una operosità sacrificate in nome di un guadagno facile, qui e ora. I dati sulla povertà, che riguardano anche la nostra città, richiedo politiche innovative che mettendosi alle spalle logiche egoistiche e nazionalistiche si facciano carico del destino di tutti i popoli come dei singoli uomini. Ci stiamo gradualmente abituando tutti ad accettare come ineluttabile e normale che milioni di persone non possano condurre una esistenza dignitosa come la nostra, e che nel mondo la forbice tra poveri e ricchi si allarghi costantemente. Le previsioni a livello nazionale per i prossimi mesi di ottobre e novembre, considerata la crisi energetica ed il rincaro delle bollette, sono destinate ad aggravare sensibilmente la situazione almeno per l’Italia. La chiave di svolta in questo ambito è sicuramente rappresentata dal LAVORO che i nostri costituenti hanno inteso mettere a fondamento della nostra repubblica. Non il lavoro degradante, sfruttato, disumano che esige sempre di più fino a rendere, in alcuni casi, schiavi i soggetti garantendo sempre di meno condizioni accettabili di vita ed il soddisfacimento dei bisogni fondamentali dell’uomo. Serve un lavoro dignitoso, che dà dignità alla persona, valorizza le sue capacità permettendogli una esistenza normale e la realizzazione delle aspirazioni più profonde, come quelle di avere una famiglia, coltivate ad ogni essere umano. Io non ho risposte e mi rendo conto leggendo che infinite sono le teorie ed insanabili le divergenze su questo tema, ma drammatica resta la realtà. E’ certo però che la competizione sempre più accentuata costringe aziende ed operai ad impegni professionali sempre più gravosi per battere la concorrenza e così si cerca di risparmiare sempre a scapito del lavoratore costretto a volte ad abbandonare il posto per mantenere un equilibrio psicologico soddisfacente. Molte delle nostre aziende pratesi su questo aspetto hanno credo da dirci ed insegnare davvero molto.

 

3) Il riaccendersi di un altro conflitto in Europa. A distanza di pochi decenni dalla guerra dei Balcani siamo tornati a combattere nel vecchio continente. Le cause sono profonde e remote. Si è chiuso il novecento ma non ci siamo lasciati alle spalle imperialismi, nazionalismi, guerre di religioni, brama di potere e ricchezze e quant’altro. E quello che abbiamo davanti è la brutalità della guerra “inutile strage”, carnefice di vite umane. Ancora giovani e giovanissimi mandati al macello inseguendo ideali falsi, obbedienze assurde. Vogliamo sradicata ogni ingiustizia ogni prevaricazione e oppressione di un popolo contro un altro
Noi non ci accontentiamo di vedere la guerra cessare. Vogliamo la pace, la vogliamo costruire, per tutti i popoli, per ogni uomo. Vogliamo fare nostro il pensiero dell’apostolo Paolo: “Raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio”. Solo la pace, quella vera garantisce ad ogni uomo “una vita calma e tranquilla, dignitosa”, per il raggiungimento della quale occorrono le preghiere di quanti credono ma un concorso unanime di singoli e gruppi, “artigiani della pace” che, ciascuno nel suo ambito e secondo le sue possibilità vogliono e riescono a portare il loro contributo.
All’indomani dello scoppio della guerra russo-ucraina 1300 studenti, dottorandi e dipendenti del MGIMO l’università del ministero degli affari esteri russo in cui vengono formati i futuri diplomatici del paese, in una lettera aperta hanno chiesto che si sospendessero i combattimenti restituendo alla diplomazia ed al dialogo la soluzione delle controversie sul campo. Questo un passaggio importante: “Consideriamo moralmente inaccettabile metterci da parte e rimanere in silenzio quando le persone muoiono in uno Stato vicino. Muoiono per colpa di chi ha preferito le armi alla diplomazia pacifica.
Nel corso della sua storia, la Russia ha ripetutamente difeso i deboli e li ha sostenuti, e ciò anche quando il prezzo da pagare era alto. I leader del nostro paese hanno risolto pacificamente situazioni di crisi difficilissime, e ciò nonostante tutte le differenze ideologiche. Chiediamo che questa tradizione di politica estera continui anche oggi: che si ritirino le truppe dal territorio dell’Ucraina, che si fermino i bombardamenti delle città ucraine e che si avvii un processo negoziale franco, senza ultimatum e richieste di resa dell’altra parte”. Questi uomini e donne si sono messi in gioco fino in fondo pagando di persona il coraggio della verità. Perché questo appello non ha trovato anche in occidente accoglienza e rispondenza? Perché spesso ci si pone di fronte a queste crisi più da “tifosi” che da intelligenti “costruttori di dialogo e di pace”?

 

Ciò che appare inaccettabile ed immorale è la costruzione ed il commercio di armi che ha raggiunto nello scorso, anno la spesa complessiva di 2113 miliardi di dollari pari al 2,2% del Pil globale (dati Sipri). Possiamo tollerare che risorse tanto ingenti vengano sottratte ad un fine di crescita di quella parte del mondo che ancora è privata di beni e servizi primari per essere investita in armamenti che vanno ad alimentare inevitabilmente i conflitti nelle tante parti del mondo?
Nel 1961 la crisi di Cuba portò il mondo intero sulla soglia di una terza guerra mondiale. L’Urss aveva tentato di installare nell’isola di Cuba basi missilistiche dalle quali sarebbe stato facilissimo bombardare gli Stati Uniti, il cui Presidente Kennedy reagì duramente ottenendo lo smantellamento delle basi dall’allora segretario del Partito Comunista sovietico Krusciov. Il contesto odierno è profondamente diverso, eppure servirebbe ricordare l’esempio di una lucida saggezza che in quel contesto comprese gli esiti disastrosi di un conflitto armato condotto fino in fondo. Dovremmo chiederci se oggi siamo davvero in grado, come allora fecero Kennedy e Krusciov, di valutare tutte le conseguenze di questo conflitto e se siamo consapevoli dei rischi che corre l’umanità. Più ancora: stiamo affrontando la tragedia di questo conflitto con il realismo necessario? È davvero pensabile, per una umanità che di fronte alle grandi sfide scopre di appartenere ad un comune futuro, portare avanti una politica di potenza ed egemonia, fondata sulla retorica della grandezza della nazione? E possono davvero garantire pace e sicurezza dispositivi politici e militari pensati per un mondo, quello della Guerra Fredda, consegnato da tempo alla storia?
È lecito domandarsi come mai con questo precedente in questi anni dopo la fine dell’Urss, si sono posizionati missili Nato in molti paesi confinanti con la Russia, atti difficilmente classificabili come non ostili? Se quindi la politica di Putin è assolutamente condannabile ci si chiede che giudizio serio ed onesto esprimere sugli altri attori responsabili della politica internazionale.

 

E nasce anche spontanea la domanda se la Nato sia ancora lo strumento adeguato a garantire la difesa e la pace o se oggi non servano differenti approcci.
Carissimi, comunque vadano le elezioni il 26 settembre ci ritroveremo davanti ancora ciascuno e tutti questi problemi e l’alternativa se farsene carico o lasciare che le cose procedano secondo le vecchie logiche sarà ancora unicamente nelle nostre mani. Auspico che tutti noi sappiamo raccogliere con determinazione la sfida.

 

 

Un cordiale saluto unito all’augurio di un impegno davvero straordinario.

 

 

Prato, 16 settembre 2022

 

 

+ Giovanni Nerbini
Vescovo di Prato

 

Il testo della lettera in formato pdf

La Chiesa di Prato in cammino. Sabato 16 ottobre l’apertura del Sinodo nella nostra Diocesi

Inizia il nuovo cammino della Chiesa di Prato, che sarà inserito all’interno del Sinodo della Chiesa italiana e in quello della Chiesa universale. Tre percorsi accomunati dallo stesso obiettivo: «la consultazione del popolo di Dio, affinché il processo sinodale si realizzi nell’ascolto della totalità dei battezzati», si legge nel documento preparatorio del Sinodo dei Vescovi.

 

Il cammino sarà inaugurato da papa Francesco in Vaticano il 9 e 10 ottobre. Poi seguirà la fase diocesana. A Prato vivremo questo momento sabato 16 ottobre alle ore 10,30 nella chiesa di San Domenico con la celebrazione di una messa presieduta dal vescovo Giovanni e concelebrata dal clero pratese. Sono invitati a partecipare i laici e in particolare i membri dei vari consigli parrocchiali.

 

L’annuncio di questo processo che vede coinvolta anche la nostra Chiesa locale è stato spiegato da monsignor Nerbini nel Convegno pastorale diocesano 2021.

 

Ecco alcuni documenti utili

 

Il cammino sinodale della Chiesa di Prato

 

La relazione della verifica svolta nei sette vicariati della Diocesi

 

Il discorso di Papa Francesco alla Chiesa italiana riunita al Congresso Ecclesiale di Firenze

nel 2015 

 

Il documento preparatorio del Sinodo della Chiesa universale

 

Manuale ufficiale per l’ascolto e il discernimento nelle Chiese locali 

 

L’esortazione apostolica Evangelii Gaudium

Il Vescovo scrive una lettera alla Diocesi. In segno di vicinanza alla comunità parrocchiale celebrerà messa alla Castellina

Il vescovo Giovanni Nerbini ha scritto una lettera indirizzata a tutti i fedeli e ai sacerdoti della diocesi di Prato a seguito della dolorosa vicenda che vede coinvolto don Francesco Spagnesi. La richiesta è quella di darne lettura durante le celebrazioni che si terranno domenica nelle chiese pratesi.
Mons. Nerbini ha deciso di inviare un messaggio «in questo momento difficilissimo della vita diocesana» per «capire cosa ci viene chiesto in questa difficile ora». L’invito è alla preghiera in casa e in famiglia. «Abbiamo assoluta necessità di vivere il Vangelo – scrive il Vescovo – tutto, sempre, ovunque, nelle piccole cose come nelle grandi circostanze». Infine chiede di avere «un cuore pieno di misericordia, di amore e di perdono per tutti», perché «gli errori di qualcuno non possono e non debbono nascondere la verità oggettiva».

 

Domenica 19 settembre monsignor Nerbini presiederà la messa festiva delle ore 11,15 nella chiesa dell’Annunciazione alla Castellina. La volontà del Vescovo è quella di incontrare la comunità parrocchiale in segno di vicinanza e di condivisione della sofferenza per quanto accaduto.

 

Il testo integrale della lettera scritta dal vescovo Giovanni

Il Vescovo scrive una lettera alla città: «Prato, guarda avanti!»

«Prato, guarda avanti!». Si intitola così la «Lettera alla città» che il vescovo monsignor Giovanni Nerbini scrive in occasione della festa più cara ai pratesi, l’8 settembre, Natività di Maria. Questa mattina, durante la solenne concelebrazione nella basilica cattedrale di Santo Stefano, davanti alle autorità cittadine che tradizionalmente prendono parte al pontificale, il Presule ne presenterà i contenuti e ne illustrerà le ragioni.

 

È proprio l’incipit della lettera a spiegarli: «Abbiamo iniziato a tessere quella che è la storia della Prato di domani. Fili e lacci di colori diversi, a volte cupi – scrive Nerbini – hanno tenuto unite le nostre vite quotidiane in questo ultimo anno e mezzo: il dolore di tanti – che la pandemia ha toccato negli affetti, nel corpo, nelle condizioni di vita, nel lavoro, nelle relazioni, nello studio – così come le attese di giorni più sereni, di una vita segnata dalla cura per la dignità della persona, di una città capace di essere a misura di umanità». Ma, come aveva già coraggiosamente proposto proprio nei giorni più bui del lockdown, il 19 marzo 2020, il Presule chiede a tutti di gettare oltre lo sguardo e il cuore: «Adesso, dopo quelli che, si spera, sono stati i mesi più duri di questa emergenza sanitaria è avanti che dobbiamo guardare. E per farlo Prato può ricorrere alla sua antica sapienza: ossia tessere, intrecciare fili diversi secondo un disegno creativo, ma unitario. Perché tessere è volontà di raggiungere una mèta, portando la tela sempre più avanti».
Un’immagine, così tipica del «genio» pratese, che si collega, nel senso, al percorso #farepatti, di ascolto e dialogo con la città nel secondo lockdown della pandemia, tra l’autunno e l’inverno, che il Vescovo aveva avviato in occasione del quinto anniversario della visita di Papa Francesco alla città di Prato. È da questa iniziativa, poi sfociata in un incontro con le istituzioni e le parti sociali del luglio scorso, che nasce la Lettera dell’8 settembre.

 

Profondamente convinto, da credente e da Pastore, che la Sacra Scrittura, «con la sua ricchezza spirituale e di umanità, si pone dinanzi a noi anche in questo tempo nel quale la pandemia ci obbliga a misurarci con la realtà», il vescovo Giovanni è da una vicenda biblica che fa partire la sua Lettera: il sogno del giovane re Salomone, appena asceso al trono. Al sovrano che lamenta di essere solo un giovane e che chiede al Signore «un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male», Dio concede «un cuore saggio e intelligente».
Dal racconto biblico il Vescovo fa emergere «quattro elementi che parlano con il nostro oggi, a tutte le donne e gli uomini che con noi affrontano questo tempo di prova», perché «soffermarci su di essi – si legge nella lettera – credo possa aiutarci a pensare in profondità la realtà nella quale siamo calati e rischiarare i sentieri che in essa si aprono».
Sono le quattro «tracce di cammino» che monsignor Giovanni Nerbini propone alla città, oltre l’emergenza ancora non terminata: «non rimpiangere il passato», «salvare il lavoro, non la rendita», «intrecciare le diverse intelligenze», «diventare un popolo affidandosi ai giovani».

 

Non rimpiangere il passato. «Nessuno di noi ha la forza, da solo, di assolvere a questo compito (“pensare il presente e il futuro della città di cui siamo parte”, ndr) e dunque – spiega Nerbini –
abbiamo bisogno di disporci all’ascolto e alla comprensione e dobbiamo farlo assieme, aiutandoci l’un l’altro a capire, perché in ciascun essere umano alberga un frammento di verità. Accanto a questo, avere un cuore disposto ad apprendere ci ricorda – è l’ammonimento del Vescovo – che non dobbiamo rinchiuderci in idee staccate dalla realtà, nel rimpianto del passato – tanto tenace nei pratesi degli ultimi anni – o nella tentazione di riprodurlo».

 

Salvare il lavoro, non la rendita. «È la sapienza – afferma Nerbini – che ci consente di dire che è male pensare di uscire dalla crisi salvando la rendita, uno dei virus della Prato degli ultimi decenni, anziché il lavoro e con esso le donne e gli uomini. È la sapienza che ci fa riconoscere il bene negli sforzi di restituire alla loro funzione sociale l’iniziativa privata e l’azione di sindacati, associazioni di categoria, forze politiche e culturali».

 

Intrecciare le diverse intelligenze. «La nostra comunità ha bisogno di attingere alle tante intelligenze che in essa già ora operano. Il distretto del «fare» – è la convinzione del presule – ha oscurato troppo spesso la città «del pensare», lasciando da parte competenze, risorse intellettuali, ricerca e confronto di idee». E, tra le tante citate, una è immediatamente sottolineata: «Abbiamo l’urgenza di mettere a frutto l’intelligenza del lavoro, dei tanti mestieri e delle tante professioni che la nostra Prato esprime».

 

La proposta di lavorare insieme nasce dall’amore per la città e per tutto il suo territorio, nella quale Nerbini è arrivato proprio due anni fa come Pastore; nasce da una preoccupazione viva per il bene comune e dalla disponibilità a lavorare con le istituzioni e tutte le realtà della comunità locale per costruire la città del domani. Lo aveva detto chiaramente – e il passaggio non a caso è richiamato nella Lettera – proprio durante l’ostensione straordinaria del Sacro Cingolo nella festa di San Giuseppe 2020, immagine simbolo della pandemia a Prato: «Una nuova città dove la politica, quella con la P maiuscola, prevalga sulla finanza, dove il bene comune sappia comporre i pur legittimi interessi particolari, dove la legge prevalga sull’illegalità e lo sfruttamento, dove italiani e cinesi – senza dimenticare le altre etnie – sappiano dar vita insieme a nuove opportunità economiche e di lavoro, dove tutte le principali componenti lascino da parte le proprie visioni particolari e sappiano disegnare insieme un nuovo volto della città, perché – come ci dice l’emergenza del Coronavirus – solo insieme potremo salvarci».

 

E per salvarci, il Vescovo propone, con coraggio e fiducia, di guardare ai giovani: «Non solo per prenderci cura di loro: più ancora, per chiedere loro di indicarci la direzione che la nostra comunità deve prendere, verso dove iniziare a camminare e così diventare popolo». Proprio soffermandosi sulle nuove generazioni il Vescovo si sofferma per concludere la sua Lettera: «Se è del contributo e dell’impegno di tutti che abbiamo bisogno, è soprattutto ai giovani che dobbiamo affidarci, domandando loro, certo, anche un di più di responsabilità. Prato – spiega il Presule – conta una popolazione giovanile superiore alle altre città vicine, una risorsa che troppo spesso dimentichiamo». Per mons. Nerbini sono «i loro cuori quelli più “docili”, disposti ad ascoltare e apprendere. Sono loro i più pronti a ricevere ed esercitare la sapienza e l’intelligenza, a dirci ciò che è male e ciò che è bene, a spiegarci come tenere assieme economia, socialità, cultura, politica, fede e dare al domani di Prato il volto e lo sguardo di un popolo che sa camminare nella storia degli uomini. È sulla loro “misura” – ecco l’appello finale – che dobbiamo costruire la città di domani».

 

Il testo integrale della lettera del Vescovo alla città di Prato

«Noi ci siamo». La Chiesa di Prato in dialogo con le persone omosessuali

«Noi ci siamo». Con questa semplice comunicazione la Diocesi di Prato intende offrire accoglienza e ascolto alle persone omosessuali che desiderano avere un dialogo e un confronto con la Chiesa. Questo servizio di accompagnamento pastorale era già stato annunciato nei mesi scorsi, il vescovo Giovanni Nerbini fin dal suo arrivo a Prato, nel settembre di due anni fa, aveva anticipato l’intenzione di dar vita a una iniziativa dedicata a fede e omosessualità. «Prima a queste persone si diceva: “Mi spiace, la Chiesa dice questo”. Invece credo che, prima di rispondere così, occorra dire: “Dio ti vuole bene, non sei un biscotto bruciato, perché per il Signore tutti i biscotti sono buoni”», disse monsignor Nerbini parlando durante il suo primo convegno pastorale da Vescovo.

 

Del servizio, possiamo chiamarlo così, simile a quelli promossi nei vari ambiti della pastorale, si occuperà monsignor Basilio Petrà, sacerdote diocesano, preside della Facoltà teologica dell’Italia centrale e tra i massimi esperti di teologia morale. «È da molto tempo che la Diocesi di Prato aveva in mente di fare qualcosa del genere – spiega monsignor Petrà – e l’impulso decisivo è stato Amoris Laetitia di papa Francesco dove è scritto che “ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione”». La Chiesa pratese dunque si inserisce in questa direzione: «quella di accompagnare le persone omosessuali perché possano avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita», sottolinea mons. Petrà.

 

Chi può rivolgersi al servizio. «Chiunque desidera mettersi in contatto con me per condividere pensieri, per chiarire il rapporto tra la fede e la propria condizione, o semplicemente per parlare del proprio modo di vivere la fede, può scrivere una email e così potremo iniziare un rapporto di conoscenza reciproca», dice mons. Petrà.
L’indirizzo email è noicisiamo@diocesiprato.it, un canale di comunicazione gestito direttamente dal sacerdote incaricato del servizio. L’idea del Vescovo è anche quella di aprire questo luogo di ascolto e accoglienza anche ai genitori con figli omosessuali e a chiunque desidera avere un colloquio o uno scambio con i rappresentanti della Chiesa per conoscere e approfondire la condizione omosessuale.

 

 

Catechismo, la Diocesi di prepara al ritorno dei ragazzi in parrocchia

Con la ripresa in presenza delle attività scolastiche torna anche il catechismo «dal vivo». Il vescovo Giovanni Nerbini ha scritto a tutti i parroci della Diocesi di Prato invitandoli a riprendere gli incontri nei locali parrocchiali. «È un momento importante che non dobbiamo trascurare né sottostimare, ma credo anche che non lasciarsi irretire dalla paura sia un segnale importante da consegnare alle nostre famiglie e ai nostri ragazzi», afferma mons. Nerbini nella lettera.

 
Nella Diocesi di Prato non c’era mai stato un vero e proprio stop agli incontri nei locali parrocchiali, il vescovo Giovanni aveva chiesto se ogni singola realtà fosse in grado di garantire o meno le lezioni in presenza secondo le norme anticontagio. Quasi tutte avevano poi deciso di trasferire la «dottrina» online. Adesso che siamo tornati in zona gialla l’invito è quello a prendere in considerazione l’idea di far tornare i ragazzi in parrocchia finché la situazione lo potrà permettere.

 
Nella lettera inviata ai parroci il Vescovo ricorda a ciascuno di «valutare attentamente la conformità dei locali che ospitano l’attività pastorale della propria parrocchia e verificare la fattibilità del catechismo in presenza quando risultano tutelate le condizioni richieste: distanza, accessi agli ambienti e possibilità di arearli». Mons. Nerbini ribadisce inoltre che «laddove i numeri dei bambini fossero alti si possono organizzare forme miste di catechismo a rotazione: un certo numero in presenza, altri collegati attraverso il computer». E infine un accorgimento: «non cessate di invitare i nostri ragazzi alla Santa Messa domenicale ricordando loro che i cristiani hanno nell’eucarestia l’indispensabile presenza del Signore in mezzo a loro. Non c’è bisogno di ripetere che le nostre Chiese sono sicure e che in tutto questo tempo di pandemia non si è mai verificato alcun vero problema».

 
Il sussidio. Sul sito della Diocesi è possibile scaricare il materiale del sussidiario «Sicuri, dietro di me», contenente tutte le indicazioni per lo svolgimento degli incontri e l’organizzazione degli spazi. Ricordiamo come funziona una lezione tipo: il bambino, in salute e munito di mascherina, dovrà igienizzarsi le mani all’ingresso dei locali parrocchiali. I genitori non potranno entrare nelle aule, se possibile sarebbe utile prevedere delle stanze per l’accoglienza. Anche i catechisti dovranno indossare la mascherina e non avere febbre o sintomi influenzali. I catechisti sono poi chiamati a compilare tre registri: uno con le presenze dei bambini, uno sugli eventuali visitatori degli ambienti del catechismo e uno relativo all’igienizzazione degli ambienti.

 
Restando in tema di sicurezza, nei giorni scorsi un’azienda di Scandicci ha donato al Vescovo 192mila mascherine chirurgiche. Il materiale, dal valore di diverse migliaia di euro, è stato depositato in palazzo vescovile e verrà distribuito tra le varie parrocchie della Diocesi di Prato, le aggregazioni laicali, le scuole cattoliche presenti sul territorio e gli oratori.

#farepatti il Vescovo Giovanni lancia la campagna di ascolto e confronto con la città per guardare oltre l’emergenza

La Chiesa di Prato riprende l’invito di papa Francesco e propone ai pratesi un percorso di ascolto e condivisione per costruire insieme una città che sappia reggere e rispondere alle difficoltà di oggi. A cinque anni dalla storica visita di Bergoglio a Prato il vescovo Giovanni Nerbini ha deciso di raccogliere nuovamente l’appello a «stabilire patti di prossimità», una modalità di lavoro che il Papa chiese di mettere in campo per cercare «migliori possibilità concrete di inclusione». E allora #farepatti sarà l’impegno che la Diocesi si vuole assumere per «immaginare insieme un’altra città possibile», come ha scritto monsignor Nerbini a Francesco in una lettera spedita lo scorso 10 novembre per ringraziarlo della visita avvenuta nel 2015.

 

«A causa di questa pandemia gli elementi di crisi si sono accentuati e nelle persone c’è un senso di incertezza e preoccupazione, dato anche dal fatto che prima o poi finiranno gli ammortizzatori sociali e il blocco dei licenziamenti», spiega il Vescovo che aggiunge: «noto anche che c’è una difficoltà diffusa nel comprendere e capire fino in fondo quello che sta accadendo. Ma di una cosa siamo certi: le sfide di oggi si possono affrontare non in modo isolato ma stando insieme». Un appello questo lanciato da monsignor Nerbini anche in occasione della solennità del Corpus Domini, quando annunciò la disponibilità della Chiesa pratese a «riprendere in mano comunitariamente il nostro destino superando comode deleghe» per costruire «il puzzle della città futura». A quell’invito risposero prontamente le istituzioni cittadine confermando la volontà di iniziare un cammino. Quel percorso è stato tracciato oggi dal Vescovo con lo slogan #farepatti.

 

 

Adesso, fino alla fine dell’anno, l’intenzione è quella di promuovere una serie di incontri con le rappresentanze economiche e sociali della città. A partire proprio da chi si è dimostrato disponibile a mettersi in cammino dopo l’appello del Corpus Domini. Poi da gennaio, con le modalità che saranno possibili in quel momento, ci sarà una serie di iniziative pubbliche di ascolto e di confronto con esperti, durante le quali verranno messe a tema alcune delle principali criticità della città e del distretto tessile. «La nostra intenzione è quella di offrire un contributo di idee e di stimolare un dibattito», aggiunge il Vescovo che intende allo stesso tempo dare un taglio concreto a quanto emergerà dal dibattito.

 

Il senso dell’iniziativa è spiegato da Michele Del Campo, direttore della Pastorale sociale e del lavoro della Diocesi di Prato: «La Chiesa vuole essere punto di riferimento perché è consapevole che in un momento come quello che stiamo vivendo è importante esserci e non nascondersi. Vogliamo esserci per accompagnare». Per Del Campo si tratta di una assunzione di responsabilità necessaria perché la città corre il rischio di infettarsi con un altro «virus», «quello di credere che alla risoluzione dei problemi ci penserà qualcun altro». L’idea è quella di «promuovere processi di partecipazione alla vita collettiva», da qui la proposta di fare incontri pubblici aperti a tutti, affinché nessuno, istituzioni e privati cittadini, «si chiuda nel proprio individualismo», conclude Del Campo.