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Papa Francesco sul Pulpito di Donatello con il vescovo

Il vescovo Giovanni scrive a papa Francesco a cinque anni dalla sua storica visita a Prato

«Per non sprecare la crisi nata dalla pandemia, bisogna creare nuovi patti di prossimità». È questo l’impegno che il vescovo Giovanni Nerbini prende a nome della Chiesa di Prato con Papa Francesco, in una lettera di saluto e ringraziamento inviatagli in occasione del quinto anniversario della sua visita alla città.

 

«Cinque anni fa – scrive il presule al Pontefice – la città e la Chiesa che è in Prato l’hanno accolta, ascoltando da Lei parole preziose di esortazione e di speranza, rivolte a una comunità che viveva contraddizioni non ancora sanate e, prima di altre, le sfide della contemporaneità. La città che oggi, con gratitudine, ricorda quel giorno – spiega mons. Nerbini – condivide con il resto del mondo il travaglio di una pandemia che ferisce e sfigura la carne viva di tanti e allarga ancor più quelle fratture sociali, economiche, culturali che già segnavano il volto di tante città e di tante comunità».

 

Il Vescovo Giovanni rilegge il discorso tenuto dal Pontefice ai pratesi in quella storica mattina del 10 novembre 2015 e richiama il significato di Fratelli tutti: «Proprio la lettura della Sua enciclica, Santità – scrive mons. Nerbini – spinge la Chiesa che è in Prato a tornare alla sua visita di cinque anni fa, a quelle parole, a quell’invito ad essere costruttori di patti: patti fra lavoratori, patti fra cittadini, patti fra comunità, patti fra generazioni, patti fra esseri umani che possano fare della città il luogo in cui vivere come fratelli, come prossimi l’uno per l’altro. Per questo – ecco l’impegno – nella consapevolezza assunta dalle Sue parole profetiche che “peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”, vogliamo proporre a tutti gli uomini di buona volontà che vivono con noi questo territorio un percorso di confronto, analisi e dibattito: una sorta di laboratorio di idee, intitolato non a caso “#Farepatti”, per immaginare insieme un’altra città possibile».

 

La Chiesa di Prato vuole proporsi come spazio libero di idee, nella consapevolezza che «Nulla sarà come prima». Mons. Nerbini lo aveva affermato con particolare forza nel pieno della prima emergenza, in occasione dell’Ostensione straordinaria del Sacro Cingolo mariano officiata la sera della festa di San Giuseppe, il 19 marzo: «Molti auspicano piuttosto sbrigativamente che tutto passi in fretta perché tutto torni come prima, com’era nel passato. Laddove invece – aveva affermato in diretta tv – ci è richiesto di guardare in avanti per costruire un futuro nuovo, una nuova comunità».

 

La lettera scritta da monsignor Nerbini a papa Francesco

Scuola, il vescovo Nerbini scrive agli studenti: non arrendetevi di fronte agli ostacoli. E ai professori: seminate fiducia e passione

In occasione del ritorno a scuola il vescovo Giovanni ha scritto una lettera indirizzata agli studenti, ai professori e ai dirigenti scolastici per augurare loro un buon inizio in quest’anno particolarmente delicato. Mons. Nerbini conosce molto bene il mondo della scuola perché è stato molti anni insegnante alle elementari prima di entrare in seminario.

 

Carissimi ragazze e ragazzi,
all’inizio di questo nuovo anno scolastico così particolare perché caratterizzato da grandi difficoltà e incertezze vi ho ricordati nella preghiera con particolare affetto. Non arrendetevi di fronte agli ostacoli che incontrerete sul vostro percorso. Non accontentatevi di un buon voto e della promozione. Mi auguro che a partire dal vostro lavoro quotidiano voi possiate compiere il primo e più importante cammino della vostra vita: la scoperta di voi stessi, del mistero che rappresenta la vostra esistenza, dono unico, originalissimo e irripetibile che Dio vi ha fatto e che in voi ha fatto alla vostra famiglia, alla vostra città ed al mondo intero.

Tanti anni fa venne a salutarmi un ex alunno. Mi ricordò le parole che avevo rivolto a tutta la classe nel giorno del saluto alla fine del ciclo, mi disse che lui aveva cercato di metterle in pratica e così facendo si era trovato bene. Carissimi insegnanti e Dirigenti, i nostri ragazzi ci ascoltano e ci guardano soprattutto. Che lo vogliamo o no, per quello che siamo, lasciamo in essi una traccia profonda. Auguro a tutti voi pur in mezzo a problemi di ogni tipo, di poter seminare a piene mani fiducia, passione, stima ed affetto per i vostri ragazzi.

Tutti accompagno con affetto e con la mia preghiera.

Giovanni, vescovo di Prato

Il vescovo Giovanni in preghiera al cimitero: «La mia benedizione ai defunti morti lontano dalla famiglia e senza Eucarestia»

Questa mattina il vescovo di Prato Giovanni Nerbini si è recato nel cimitero della Misericordia per un momento di raccoglimento, preghiera e benedizione. L’iniziativa, comune a tutti i vescovi di Italia, è stata pensata con l’intenzione di affidare a Dio le persone decedute durante questa emergenza sanitaria. Si tratta di defunti che a causa della pandemia non hanno potuto avere il conforto degli affetti né quello dei Sacramenti. Monsignor Nerbini ha inviato un abbraccio ideale alle famiglie e impartito la benedizione sul cimitero assicurando la vicinanza della Chiesa.

 

«Sono qui oggi – ha detto monsignor Nerbini – come lo sono in solitario tutti i vescovi d’Italia nei loro cimiteri come segno di vicinanza, di abbraccio ideale verso tutti i nostri fratelli e sorelle che in questo periodo sono deceduti lontani dalle loro famiglie, senza l’accompagnamento della preghiera e della celebrazione dell’Eucarestia. Noi li presentiamo al Signore in questo momento così difficile, così particolare, proprio perché non manchi loro, la preghiera, l’affetto, la vicinanza della Chiesa».

 

Al momento di preghiera erano presenti il proposto dell’Arciconfraternita della Misericordia di Prato Gianluca Mannelli e correttore don Francesco Spagnesi.

 

 

L’omelia del vescovo Giovanni nel giorno di Santo Stefano

Carissimi, un saluto alle autorità presenti e a tutti voi, ai sacerdoti presenti, ai diaconi e ai religiosi,
Siamo riuniti per far festa al nostro patrono S. Stefano. In che cosa il nostro ritrovarci insieme è diverso da quello di tante altre occasioni – e ce ne sono di frequenti? e cosa le parole e la vita del santo martire Stefano hanno da insegnarci oggi poi, di fronte alle sfide che ci troviamo ad affrontare?

 
1) Stefano è un uomo di fede, ha fatto una scelta di campo che l’ha portato a divenire seguace di Gesù, non con una religiosità astratta, né di divisione né di contrapposizione. Tutt’altro. Egli è individuato e scelto dalla comunità dei credenti per un servizio concreto: le mense pubbliche; evidentemente tutti gli riconoscevano le caratteristiche necessarie e le capacità indispensabili per quell’incarico: il suo è un servizio a favore degli ultimi del tempo, senza onori, senza pretese e tornaconti. Come pure morente tiene fermo l’atteggiamento del suo maestro e Signore attuando il suo comando: nella preghiera intercede per il perdono dei suoi carnefici: fino in fondo persegue il bene di tutti.

 
2) Proprio questo mi pare essere il primo punto da mettere tra le priorità nella vita sociale della nostra città: ricercare il bene comune, rimettere questa parola all’attenzione di tutti in un grande e rinnovato sforzo educativo teso a coinvolgere tutti in questa responsabilità perché a tutti essa appartiene, non solo ai poteri costituiti civili e religiosi, ma ad ogni cittadino, a cominciare dall’età scolare. Fino ad oggi, un po’ ovunque si era diffusa l’abitudine a considerare virtù il pensare “agli affari propri”; in realtà molto spesso questo detto nascondeva e nasconde forme di egoismo mascherato DI PERBENISMO. Quando ciascuno pensa agli affari propri la società si frantuma, i servizi diminuiscono e risultano inadeguati, l’individuo, a cominciare dai più deboli, soffre di mancanza di relazioni, stabili, significative e pervasive. Noi apparteniamo a quella che impropriamente viene chiamata la “civiltà del benessere”. In realtà abbiamo stabilito un rapporto implicito di causa effetto fra abbondanza di risorse economiche in primis, e il benessere della persona immersa in questo stato. La realtà ci fa prendere atto ogni giorno che da una parte un numero di persone crescente si allontana da una condizione economica agiata ( famiglie a rischio povertà in aumento), dall’altra che questa AGIATEZZA da sola non produce effetti soddisfacenti e diffusi. Madre Teresa raccontava la sua prima esperienza in un ricovero per anziani in Inghilterra dove i bisogni fondamentali erano garantiti e soddisfatti. Si era resa conto che le persone guardavano costantemente verso la porta. “Aspettano sempre che qualcuno venga a trovarli – fu la risposta di una assistente – in realtà non si presenta quasi mai nessuno. Ricordo un vecchio parrocchiano che mi raccontava di veder passare sotto casa l’unico nipote nei suoi spostamenti, “ma solo raramente si ferma” il suo amaro sfogo. In questo contesto il rivolgersi solo e sempre ai pubblici servizi è una vera e propria fuga inconcludente. Il “beneavere” non è sufficiente per generare “benessere”

 
3) Paolo VI nella Popolorum progressio scrive:
“Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere sviluppo autentico, dev’essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo.
Il nostro cammino, quello della società pratese intera, non può essere volto solo a creare ricchezza, ma deve coltivare l’attenzione che da questa non sia escluso nessuno, ma anche che miri alla PROMOZIONE DI TUTTO L’UOMO. Processi di inclusione e condivisione esistenti sono buona cosa e vanno costantemente monitorati. Ieri nella visita ad una struttura pubblica quanti stranieri GIOVANI ho trovato che non sanno ancora pronunciare una parola di italiano.
E questo contesto, oltre alla scelta di Stefano, ci rimanda alle associazioni di volontariato a prato particolarmente numerose ed efficienti che svolgono un servizio straordinario, di incalcolabile portata. Non rammento nessuno per non cadere in omissioni o preferenze imperdonabili. Ma esse possono giocare credo un ruolo decisivo in questo obiettivo che è lo sviluppo di “TUTTO L ‘UOMO”, per curare le disuguaglianze, supplire alle carenze che minacciano l’integrità dell’uomo nelle sue dimensioni umana, relazionale, spirituale, lavorativa. Si vedono già fiorire nuove iniziative che a breve offriranno nuovi servizi, altre ne abbiamo già visitate ci hanno stupito per efficienza e abbondanza di offerta. A Prato il verbo “FARE” appartiene al DNA collettivo. C’è una propensione al “ripartire” con le maniche rimboccate che ci fa ben sperare in un futuro ricco di opportunità lavorative. Forse oggi però ci viene chiesto un supplemento di impegno. Abbiamo bisogno a parer mio di PENSARE e RIFLETTERE di più e PROGETTARE MEGLIO, tutti insieme, senza distinzioni e divisioni, senza inutili polemiche. Che immagine di persona abbiamo di fronte?
Come costruire un tessuto sociale coeso e condiviso nei valori e nelle finalità? La parola “COMUNITA’ “ così suggestiva la scegliamo ancora e può suggerirci differenti ma importanti opzioni di impegno oppure dobbiamo archiviarla perché ormai obsoleta e inservibile? Questo mettere al centro tutto l’uomo può aiutarci a recuperare dimensioni trascurate che causano tanta solitudine, sofferenza e malattie e quindi nuove POVERTA’? Evidentemente questa sfida richiede che superiamo contrapposizioni ed esclusioni e d’altra parte esige che tutti siano coinvolti in questi processi innovativi e quindi ben vengano le occasioni nelle quali anche le comunità straniere che ormai sono parte integrante di Prato possano dialogare tra di loro, offrire il loro contributo di impegno, mettere in gioco le loro ricchezze umane e culturali.

 
C’è un ultimo aspetto che mi piaceva almeno sfiorare. Nell’era della globalizzazione è impensabile lo sguardo miope con il quale guardiamo alla nostra condizione privata nella illusione di poter garantirci da soli un futuro migliore. Il rapporto di interdipendenza ci lega sempre più strettamente gli uni agli altri ed alla casa comune che abitiamo. Siamo invitati, sarebbe meglio dire COSTRETTI ormai a rimettere la questione ambientale-ecologica al centro della nostra attenzione. Le spetta senz’altro il primo posto. La custodia e salvaguardia del creato ci competono senza distinzioni, senza sconti. E’ illusorio e puerile, rimettere a posto la propria cameretta mentre la casa intera rischia di essere spazzata via dall’alluvione E non siamo lontani da questa infausta possibilità conseguenza delle nostre leggerezze. Nelle criticità che il mondo ci presenta tutti anche i sacerdoti si devono occupare non solo del gregge ma dell’intero ovile.

 
Le sfide sono grandi e a volte ci spaventano. Le risorse umane non sono da meno. Hanno solo bisogno di essere riattivate, rimesse con ordine in movimento. Chiediamo a Santo Stefano e a Maria madre di Cristo la lucidità di mente e la forza d’animo per non perdere nessuna occasione e di saper lavorare e dare la vita per questa nostra terra, questa nostra famiglie umana questo tempo nel quale siamo stati messi per essere testimoni, ma anche costruttori di pace e di civiltà.