Festa di Santo Stefano 2013

Cattedrale di Prato – 26 dicembre 2013
26-12-2014

Carissimi sacerdoti, rev.di Canonici del capitolo della nostra Cattedrale, carissimo fratello Vescovo Gastone, pastore solerte e buono per tanti anni di questa chiesa,; carissimi fedeli, sorelle e fratelli qui convenuti, distinte autorità che ci onorate con la Vostra presenza, ancora una volta vi raggiunga il mio saluto e l’augurio che risuona al nostro cuore come una benedizione dolcissima: Buon Natale nel Signore! E Buona festa per tutti noi convocati a celebrare la solennità del nostro santo patrono S. Stefano. E’ bello stare insieme come fratelli, membri della stessa famiglia umana e cristiana!

La nostra santa e amata CHIESA DI PRATO, a cinquant’anni dal Concilio Vaticano II, appuntamento epocale preparato dalla fatica e dalla riflessione attenta e operosa di intere generazioni, presago di un nuovo cammino per l’evangelizzazione (mons. Fiordelli fu uno dei padri conciliari);
nell’orizzonte del PIANO PASTORALE DIOCESANO che intende promuovere la dimensione missionaria della vita e dell’azione della comunità ecclesiale in tutte le sue espressioni, mediante la revisione, i cambiamenti e soprattutto la conversione del cuore e della mente che questa esige;
all’inizio della VISITA PASTORALE che tra pochi giorni incomincia, e che certamente rappresenta un impegno non solo per il Vescovo ma per ogni singola parrocchia e realtà della comunità diocesana;
in comunione con Papa Francesco che nella Evangelii gaudium ci invita a proclamare parole che fanno ardere il cuore e a rinnovare persone, criteri di comportamento e strutture perché siano più conformi al Vangelo;
di fronte ad una città in così profonda e rapida trasformazione, funestata, oltre che dalla crisi economica e lavorativa, anche da eventi luttuosi e delittuosi che sono sotto i nostri occhi, e pur sempre ricca di segni di speranza e di vitalità, di impegno e di solidarietà; di fronte all’oltraggio sacrilego ai Crocifissi e alla tragedia dei cittadini cinesi morti nel rogo, moderni crocifissi immolati sull’altare del profitto e dello sfruttamento;
questa nostra Chiesa, comunità del Risorto, proprio in obbedienza al mandato missionario di Gesù e senza invasioni in campi che non ci competono, che cosa è chiamata a dire alla città di Prato? Quale parola e quali segni di speranza siamo chiamati ad offrire perché la vita sia piena?

Andiamo alla scuola del nostro patrono, S. STEFANO, diacono e primo martire, in vita e in morte somigliante a Cristo.
Pellegrini di fiducia, come tutti siamo chiamati ad essere in quest’ora di grazia e di travaglio, la sua testimonianza ci conforta e ci illumina. Per essere discepoli missionari oggi, abbiamo necessità di andare a scuola di quanti hanno fatto della loro esistenza un dono di amore in tempi critici, di incertezza, di confusione e di persecuzione. La vita cristiana è assomigliare a Gesù, più che osservare regole e codici formali di comportamento. Stefano è davvero un campione di questa somiglianza. E siccome “Dio lo si incontra camminando, nel cammino” (Papa Francesco), viviamo la compagnia dei Santi come conforto e luce.

1. Stefano è descritto “pieno di grazia e di potenza” (Atti 6,8).
Prato, città mariana, cioè caratterizzata dal riferimento a Colei che è stata definita dall’Angelo “piena di grazia” (Lc 1,28), come Stefano ha bisogno della grazia di Dio. Prima del nostro ‘fare’, c’è la misericordia, la benevolenza, la magnanimità del Signore. Nessuna pretesa di autoriferimento o presunzione, se vogliamo avere un futuro che vada oltre l’immediato. Solo la grazia di Dio può darci quello Spirito che fa nuove tutte le cose e che riempie di energia nuova ogni nostro proposito. Allora anche ciò che umanamente sembra impossibile, diventa possibile. Allora il Verbo si fa carne nel grembo verginale di Maria; allora un giovane diventa ardimentoso al punto da sfidare carnefici e denigratori; allora una Chiesa, come quella descritta nel libro degli Atti al tempo di Stefano, che sembrava sull’orlo del fallimento e della desolazione, diventa missionaria e testimone della risurrezione.
La Chiesa di Prato, la città di Prato ha bisogno della ‘grazia’ di Dio, di quella divina carità che ridoni senso ed orizzonte di speranza al nostro lavoro quotidiano, al nostro impegno per costruire segni che il Signore non ci ha abbandonati. E “Dio è tutto promessa, non defrauda la speranza” (Papa Francesco).

In questo momento solenne e familiare al tempo stesso, propongo una iniziativa che non intende sostituire o sminuire alcun organismo o programma esistente, ma affiancare il ministero del Vescovo: voglio chiamare dodici giovani (il numero è simbolico) , di diversa sensibilità e competenza e formare con loro “il Consiglio dei Dodici”, che periodicamente mi aiuti a leggere dal punto di vista dei giovani la nostra realtà, a sentire le aspettative che urgono, a individuare possibili percorsi pastorali, non tanto e non solo per i giovani, ma per l’intera società. Giorgio La Pira diceva che “i giovani sono come le rondini: annunciano la primavera”. E’ per questo che quanto prima vorrei chiamare questi giovani fratelli e sorelle che, come Stefano, nella luce del Signore, nel dialogo, nel discernimento, nell’attenzione alle frontiere generazionali e culturali, svolgano una diaconia, un servizio, per il bene della nostra comunità.

Siamo stati conosciuti come la città industriosa, come gli “uomini del fare” (caratteristica che mai vogliamo disattendere), ma dobbiamo diventare o ridiventare “uomini della grazia”, della gratuità, della carità, della comunione, della benevolenza, senza cedere a sentimentalismi e a fughe o derive spiritualistiche, contrarie al realismo evangelico. Genitori, preti, imprenditori, amministratori, educatori, rappresentanti delle diverse categorie ed istanze sociali: è urgentissimo un “supplemento d’anima” che attingiamo dal Vangelo, dalla grazia del Signore, per dare fondamento alle regole di comportamento e alle decisioni che vadano oltre il nostro immediato tornaconto.
“Senza di me non potete fare nulla”, ci ammonisce il Signore; il “Dio-con-noi” che celebriamo a Natale ci assicura che con Lui possiamo osare e incrementare i passi necessari di una nuova stagione di bellezza e di positiva operosità.
Allora potremo promuovere vere e proprie vocazioni e conseguenti missioni (e non solo sistemazioni!) per rinnovare il volto delle nostre comunità e della società civile. Solo chi è coerentemente, e perciò credibilmente, testimone in opere e in parole là dove si vive ed opera, nella corresponsabilità di ogni carisma, può avere un futuro e può garantire un futuro alle istituzioni (famiglia, Chiesa, società, lavoro).
Torniamo all’impegno del “buon esempio”: come possiamo esigere dagli altri quello che noi per primi non facciamo? Come possiamo desiderare o sognare una società migliore dell’attuale, se non partiamo da un vero e proprio rinnovamento spirituale che ci metta “in grazia di Dio”?

2. Stefano parlava con una “sapienza ispirata” alla quale nessuno poteva resistere (cfr. Atti 6, 10).
Attingeva certamente dalla Parola di Dio i criteri che guidavano il suo dire e il suo fare.
Chiesa e città di Prato, diventa comunità che ascolta Gesù, che ascolta la storia, che ascolta i poveri e i giovani.
Costruiamo degli spazi di silenzio, di meditazione, di discernimento spirituale e pastorale, di distacco dal continuo vociare e rumoreggiare, per ritrovare la misura di tutte le cose, il gusto dell’incontro pacato con l’altro, lo stupore della scoperta e della valorizzazione di ciò che solo un cuore saggio sa vedere. Ascoltare il Signore, nostra sapienza di vita, è vedere tutta la realtà con il cuore e gli occhi del Signore: questo è garanzia di futuro, di speranza, di progettualità non velleitaria.
Il nostro vivere quotidiano è il luogo della verifica che la Parola di Dio in noi e attraverso di noi produce frutto. Diceva un martire dei nostri giorni: “Il martirio bianco è ciò che si cerca di vivere ogni giorno: il dono della vita nel quotidiano all’interno di un orizzonte di amore, lo stare a fianco di qualcuno, regalare un sorriso, prendersi cura del prossimo. Non ci si può aggrappare alla vita: la vita è un dono che va offerto” (mons. Pierre Claverie, vescovo di Orano in Algeria, ucciso nel 1996).
Il nostro santo patrono è stato ascoltatore del Vangelo, per questo se ne è fatto servo per amore: evangelizzatore nella diaconia della carità e nell’annuncio di Cristo morto e risorto, nostro salvatore e redentore. Pagando a caro prezzo la propria fedeltà.
Chi ascolta il povero, l’attesa sincera del giovane, l’inquietudine del ricercatore della verità, il disagio che ormai diventa cronaca feriale, può sperare di giungere anche ad ascoltare il Signore.
Il nostro piano pastorale chiede che rivediamo in chiave missionaria tutto ciò che promuoviamo come Chiesa, perché sia davvero e nella concretezza evangelizzante.
Chiesa e città di Prato, “cresciute insieme” (Giovanni Paolo II), che ne hai fatto del Vangelo? Hai ancora la forza propulsiva del Vangelo?
Decine e decine di testimonianze meravigliose di ieri e dei nostri giorni ci ricordano che sì, qui ancora risuona la Parola di vita, qui c’è spazio per l’accoglienza e per l’ascolto praticato del Vangelo. L’obiettivo è e rimane quello di sempre: educhiamo, miriamo a formare “gente di Vangelo”, perché in ogni ambiente e ambito della vita pratese ci sia il fermento di quella vita buona di cui tutti, credenti e non credenti e diversamente credenti, abbiamo nostalgia e desiderio. Per noi “educare” non è un’emergenza del momento presente; è un dovere, è un’esigenza, è il motivo del nostro esistere come chiesa. Siamo scelti per educare con la luce del Vangelo, per accompagnare la gente verso la verità. Ogni gesto, ogni liturgia, ogni parola dovrà manifestare questa priorità educativa, che nel Signore ha il suo centro. Diversamente saremo uomini delle cerimonie, dell’assistenzialismo sociale, dell’aggregazione amicale e comitale, ma mai degli “educatori” che annunciano la vita nuova del Vangelo. La nostra azione pastorale dovrà essere spinta da una urgenza prioritaria, quella di formare un laicato maturo che sappia autorevolmente affiancare l’opera del sacerdote e talvolta essere guida dello stesso cammino pastorale. Tra qualche anno chi guiderà e presiederà le nostre comunità se il numero dei sacerdoti si farà sempre più esiguo? Forse saranno preda di fantomatici laeders pseudo spirituali, che camminano – male! – in alternativa al cammino della Chiesa, fuori dalla comunione, col rischio di diventare falsi maestri, guide di vere e proprie scuole di ateismo pratico, perché incapaci di incrociare la vita con tutti i suoi problemi, i suoi drammi, le sue ansie.

“Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede. E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio” (1Gv 5,4-5). E’ questa la prima diaconia di cui la Chiesa è debitrice a tutti. E noi, Chiesa evangelizzata ed evangelizzante, vogliamo onorare questo divino mandato. “Non lasciamoci rubare la gioia dell’evangelizzazione” (Evangelii gaudium, 83). In questa prospettiva raccomando a tutte le parrocchie e aggregazioni laicali il percorso triennale formativo per i giovani: “Ora i miei occhi ti vedono. Una direzione:Betania”, promosso dall’Ufficio e dalla Consulta di Pastorale Giovanile. Non faremo mai abbastanza per accompagnare la crescita nella fede dei nostri giovani, chiamati ad essere i primi gioiosi missionari dei loro coetanei.
La missionarietà fa parte della natura della Chiesa (“Tutti siamo discepoli missionari” Papa Francesco); ancora una volta, come Paolo ad Atene, occorre entrare nell’areopago della nostra civiltà contemporanea, della cultura, dell’economia e della politica, realtà spesso avulse da ogni riferimento ideale al personalismo cristiano e che non riescono a rispondere alla sete di felicità anelito del cuore dell’uomo.
Non abbiamo ricette pastorali o sociali da offrire; ma per affrontare la situazione occorre una grande forza spirituale. Soltanto lo Spirito Santo, che – come dice un antico inno – irriga ciò che è arido e piega ciò che è rigido, può aprire il terreno riarso e renderlo fecondo affinché il Regno di Dio possa mettere radici. “Soltanto una nuova Pentecoste può condurre ad una nuova primavera” (card. W. Kasper).
Qui propongo un secondo intendimento che vuole valorizzare tutta la classe intellettuale pratese, ricca di tante diverse competenze. Quanti nostri concittadini sono docenti, spesso assai qualificati, nelle più svariate discipline, in diverse città italiane e straniere! Vorrei invitarli tutti in un forum seminariale, in un “laboratorio” ad esporre le loro proposte, le loro vedute, il loro sentire perché la nostra comunità pratese sia viva, vitale, capace di ripartire nei diversi ambiti. La Chiesa non ha alcuna mira politica; ma vuole offrire un contributo a tutti perché Prato torni a sperare, perché Prato non chiuda, perché Prato sia città dell’uomo e della pace, e, se lo vorremo, nella libertà della coscienza, città di Dio. E’ tempo di audacia, non di lamentela e di scoramento. Il lavoro intellettuale richiede umiltà, sacrificio, dedizione, coraggio. Uomini e donne del pensiero e della ricerca, io vi invito: aiutate la nostra città!

3. Stefano “mentre pregava diceva: 0 Signore Gesù, accogli il mio spirito. Poi piegò le ginocchia e gridò forte: Signore, non imputare loro questo peccato” (Atti 7,59-60).
Sorelle e fratelli, questo è un tempo di necessaria coesione, di superamento di barriere di ogni genere, di perdono reciproco perché nessuno è senza colpa; questo è il tempo non dell’accusa, ma della misericordia che si fa responsabilità. Stefano, espressione di una Chiesa obbediente alla Parola del Salvatore, preferisce essere ucciso, come il divino Maestro, piuttosto che maledire ed opporsi con pari violenza all’ingiustizia inflittagli.
Come la Chiesa non può mai derogare dal principio della comunione che fa superare chiacchiere, arrivismi, chiusure, dispotismo, disprezzo…, così la società, la nostra città di Prato in uno sforzo che non vuole fare ammucchiata e livellamento delle giuste differenze, deve concorrere a cercare, individuare e decidere vie per la sua rinascita spirituale, culturale, lavorativa e sociale.
E a proposito di comunione, sapendo che il Vangelo è destinato ad essere sale e lievito per il mondo, non vogliamo diluire minimamente il progetto di Dio; vogliamo anzi con tutto noi stessi non considerare nessuno ‘lontano’, poiché per noi si tratta di farci prossimo a ciascuno, consapevoli che ogni cristiano è chiamato ad essere luogo per l’incontro con la Chiesa e con il Cristo. “In una società di massa occorrono rapporti veri: questo dovrebbero offrire i cristiani”: così mi scriveva un laico delle nostre parrocchie. Talvolta nei nostri incontri appare più lo scheletro che l’anima della “vivente carne di Dio nel mondo” che è la Chiesa, come scriveva il teologo von Balthasar.

Il Piano Pastorale e la Visita Pastorale ci interrogano quale sia il vero volto delle nostre realtà ecclesiali. “Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace…”(Gal 5,22): sono questi i segni che offriamo a tutti, in particolare la gioia? E sappiamo riconoscerli là dove si manifestano?
Non abbiamo timore a rileggere il mistero della Chiesa nella luce del mistero della Trinità. La Chiesa ha la vocazione di essere, dentro alla storia, il segno concreto e il germe di ciò che tutta l’umanità è chiamata a diventare da parte di Dio, e di cui la storia e la scena umana ci mostra crescente urgenza. Così scriveva una grande laica cristiana dei nostri tempi, Chiara Lubich: “Tutto cada. L’unità mai! Portate tra voi sempre questo fuoco acceso e non temete di morire. Già l’avete sperimentato che l’unità esige la morte di tutti per dar vita all’Uno. Fate questo come sacrosanto dovere che porterà immensa gioia. E’ Gesù che ha promesso la pienezza del gaudio a chi vive l’unità”.

Per analogia, in una lettura dei grandi movimenti storici, di cui siamo stati e siamo spettatori ed attori ad un tempo, l’umanità va incamminandosi verso una integrazione delle differenze, verso una unità di intenti, nella consapevolezza che “insieme” soltanto si possono creare le condizioni migliori possibili per la vita di tutti. Siamo altresì consapevoli dei pericoli e dei rischi, palesi ed occulti, che ci sovrastano, per non cadere nella omologazione che tutto livella e strumentalizza in vista della idolatria del denaro e del potere.
Nella famiglia, innanzitutto, cerchiamo quel dialogo e quella comunicazione che sono via ed espressione di comunione sincera. Torniamo a prenderci il tempo per sostare insieme, marito e moglie, genitori e figli, nonni e nipoti, per vivere il gusto e la gioia del volersi bene. Con quelle tre parole semplici che indicano altrettanti atteggiamenti e stili di vita, ricordateci da Papa Francesco: “Per favore, grazie, scusa”.
Nel mondo della politica: la passione per il bene comune, la libertà da interessi di parte o individuali, il rispetto della dignità di ogni persona e istituzione e dei ruoli di ciascuno, l’osservanza delle regole democratiche che ci siamo dati, l’attenzione prioritaria ai piccoli e ai poveri, la trasparenza nella gestione della cosa pubblica: questo ci unisce. Sapendo che la complementarietà delle analisi e delle possibili soluzioni ai problemi complessi della società nei suoi vari ambiti, indica la volontà di quell’umile prezioso servizio alla comunità civile ormai multirazziale e multiculturale che è la nostra.
Nel mondo del lavoro (imprenditori, dipendenti, professionisti, commercianti, artigiani) è altrettanto urgente che si ritrovino convergenze, sinergie, scelte di cooperazione in rete per superare la deriva critica di tutto un distretto. La crisi occupazionale, e conseguentemente della famiglia e la crisi demografica a Prato, unita all’invecchiamento della popolazione di origine italiana, ci deve interessare in maniera corale.
Nel mondo della scuola e della cultura la progettualità educativa, oltre alla informazione e alla formazione delle abilità necessarie nei vari campi, oltre al favorire lo spirito critico in vista di una responsabilità personale da assumere nella società, non può ignorare che noi non demandiamo allo Stato o ad altre agenzie il primario compito educativo che spetta alle famiglie, e sussidiariamente alla scuola pubblica (a gestione cattolica o statale) e ad altre agenzie (oratori, sport, espressività varie…); ma siamo anche convinti che solo dalla collaborazione leale e franca tra i diversi soggetti potremo offrire ai ragazzi e ai giovani quegli strumenti e quella scala valoriale che renda significativo il presente e vivibile il futuro.
Nel mondo della sofferenza fisica, psichica e spirituale: quanto bene è compiuto a Prato! Quanta solidarietà ed operosità e iniziative sono state e sono promosse! In tutti i campi: dei minori e degli anziani, delle famiglie nel bisogno e degli immigrati, degli svantaggiati fisici e psichici, nel privato e nel pubblico. Qualche passo ulteriore dobbiamo farlo per una distribuzione delle risorse il più possibile giusta, e per offrire risposte ai bisogni antichi e nuovi che si presentano nel nostro territorio.

Potrei e dovrei dire altro (ma non bisogna “maltrattare i limiti”!) sul mondo della comunicazione sociale, sulla gestione del nostro rilevante patrimonio artistico, sull’accoglienza e integrazione di chi viene da lontano tra di noi, sulla necessità di un clero locale sempre più ‘pratese’, pur ringraziando e apprezzando tanto i confratelli venuti da altre Chiese per aiutarci. Sì, di altro dovrei parlare.
Ma per ora presentiamo al Signore questi sentimenti e propositi, perché sia Lui a benedire e a portare a compimento ciò che è conforme alla sua volontà.
Riprendiamo insieme il cammino, cari fratelli e sorelle, nello sforzo congiunto di squarciare la cappa nebbiosa che una sfiducia sempre più diffusa e una conseguente caduta della speranza hanno sparso sulla nostra città. Torniamo a vedere il cielo, aperto sulla fiducia e sulla speranza, e se solo alziamo un po’ lo sguardo potremo intravedere il Figlio dell’uomo ragione ultima della nostra speranza.

Sorelle e fratelli carissimi, S. Stefano ci ottenga dal Signore il suo Spirito di intraprendenza, di franchezza, di fedeltà a Cristo, la sua capacità di forti decisioni unita a dolcezza e dedizione, perché cresciamo nella somiglianza con Gesù; facciamo spazio a Dio, mentre siamo incamminati sulla via del Regno, percorrendo insieme le vie di una nuova stagione missionaria.