Il sacro cingolo (foto Anita Scianò)

La sacra cintola

È il simbolo religioso e civile di Prato. La Sacra Cintola, o Sacro Cingolo, è conservata nella cappella omonima della basilica cattedrale di Santo Stefano. La sottile striscia di lana – quasi un presagio per una città che sul tessile ha costruito la sua fortuna – è appunto la cintura che, secondo antiche tradizioni, la Vergine donò a san Tommaso al momento della sua assunzione.
Questo prezioso simbolo di unione tra cielo e terra, tra l’umano e il divino, ha costituito per secoli non solo il fulcro della religiosità pratese, ma anche l’elemento simbolico-devozionale che ha connotato la “pratesità”, giustificando e sostenendo le istanze di autonomia in campo civile, oltre che religioso, di Prato nei confronti delle vicine città di Firenze e Pistoia.

 

La reliquia
Numerose notizie storiche attestano fino dai primi secoli dell’Era cristiana la presenza di cinture della Vergine in varie chiese (le principali a Costantinopoli e Gerusalemme), probabilmente alla base di moltissime reliquie presenti in città europee. In nessuno di questi luoghi, però, la devozione per la reliquia ha avuto l’intensità e durata, e soprattutto un radicamento così profondo, come nel caso di Prato. Qui, infatti, la sacra Cintola assunse subito un importantissimo ruolo, civile e religioso, come il tesoro più prezioso della collettività.
Questo femminile, umanissimo oggetto, capace di evocare lo stretto legame tra la realtà terrena e l’aspirazione all’eternità, da circa otto secoli ha costituito il fulcro della religiosità, ma anche l’elemento simbolico-devozionale capace di tenere unito il territorio pratese e di sostenerne le esigenze di autonomia in campo religioso e civile nei confronti di Firenze e Pistoia, in un complesso intreccio di fede, devozione, storia e tradizione.
La Cintola è una sottile striscia (lunga 87 centimetri) di lana finissima di capra, di color verdolino, broccata in filo d’oro. È possibile che sia una reliquia derivata dalla perduta Cintura venerata a Gerusalemme già nel VI secolo, e che sia stata ottenuta mettendola a contatto con quella (secondo una pratica assai diffusa nel medioevo) oppure (col procedimento definito di immistione) ne potrebbe contenere piccole parti.
Come per molte altre reliquie di notevole venerazione, non è essenziale l’autenticità storica della Cintola, che poco può aggiungere al valore di fondo della reliquia, discendente dal suo rapporto con Maria, Madre di Dio e Madre della Chiesa. Il sacro Cingolo è da sempre un mezzo per cercare un contatto spirituale con la Vergine, e sottolinea il legame profondo dei pratesi verso Maria.

 

Storia e storie della Cintola
La Storia della Cintola trae origine da antiche tradizioni del V-VI secolo; vi si narra che un angelo annunciò alla Vergine la morte, tre giorni prima dell’evento, e subito portò presso di lei da località diverse, prodigiosamente, tutti gli apostoli, escluso san Tommaso. Essi assitettero la Vergine fino al suo trapasso [da Museo, Niccolò del Mercia, Dormitio], quindi ne trasportarono il corpo nella valle di Giosafat e lo posero in un sepolcro chiuso da una grossa pietra. Subito dopo gli apostoli furono accecati da una forte luce, e nello stesso momento san Tommaso venne portato prodigiosamente dall’India sul Monte degli Ulivi. Di qui egli vide, dentro una luminosissima nube, la Vergine che veniva assunta in Cielo: la invocò e la Madonna gli gettò la propria cintura, in segno di benevolenza e a testimonianza dell’evento miracoloso.
La tradizione pratese (le cui versioni più antiche risalgono probabilmente al Duecento, basate su racconti tramandati oralmente) prosegue il racconto, riferendo che san Tommaso lasciò la Cintola ad un sacerdote, perché fosse venerata in una chiesa da costruire in onore della Madonna. Per timore dei Giudei, però, l’edificio non fu mai edificato, e per secoli la reliquia venne tramandata dai discendenti del sacerdote.
Intorno al 1140 Michele, un devoto pratese di modeste condizioni (la tradizione lo dice pellicciaio), giunse in pellegrinaggio a Gerusalemme, dove si innamorò di una fanciulla, Maria. La sposò in segreto all’insaputa del padre di lei, un sacerdote di rito orientale, e dovette perciò fuggire, dopo aver ricevuto in dono dalla madre di Maria un canestrino di giunchi marini che conteneva la reliquia .
Michele, tornato per nave in Italia, quindi a Prato nel 1141, non fece parola con nessuno della Cintura, e solo in punto di morte – intorno al 1172 – la donò a Uberto , proposto della pieve di Santo Stefano, svelandogliene l’origine. Le storie narrano poi dei dubbi del proposto e del prodigioso manifestarsi della reliquia, portata infine nella Pieve e esposta da allora alla venerazione del popolo.

 

Spostamenti e furti della reliquia
I documenti attestano che, almeno dalla metà del Duecento, il sacro Cingolo era conservato di fianco all’altar maggiore (in un apposito altare, almeno dal 1292). Le ostensioni pubbliche della reliquia erano regolate dagli Statuti del Comune (al quale spettavano parte delle chiavi necessarie per estrarla dall’altare), e si tenevano per Pasqua e l’8 settembre, Natività della Vergine. Solo più tardi si aggiunsero le ostensioni per Natale, quindi quella del primo maggio, infine il 15 agosto. Dalla fine del Duecento al 1336 il Comune, con imponenti demolizioni, realizzò la vasta piazza davanti alla chiesa, destinata a accogliere i pellegrini.
Nel 1312 ebbe luogo un tentativo di furto della reliquia, ad opera di Giovanni di Landetto detto Musciattino, che fu duramente punito col taglio delle mani e il rogo, sul Bisenzio. Dopo questo evento fu deciso di dare sistemazione più sicura alla reliquia, e si avviarono i vasti lavori per la realizzazione del transetto gotico della chiesa, conclusi solo intorno al 1365. Nel frattempo però, con un colpo di mano popolare sostenuto dal Comune, nel 1346 il sacro Cingolo era stato spostato dal coro, portandolo in un altare provvisorio in fondo chiesa; da allora le abbondanti rendite derivanti da lasciti e donazioni alla reliquia furono amministrate dall’Opera della Cintola (con reggenti eletti dal Comune).
Superate le controversie col proposto, l’Opera raccolse in breve la somma necessaria per sistemare definitivamente la reliquia in una nuova cappella, realizzata tra il 1386 e il 1390 vicina all’ingresso, e ornata nel 1392-95 dallo splendido ciclo di affreschi di Agnolo Gaddi con Storie di Maria e la Storia della Cintola. Il 4 aprile 1395 la reliquia venne trasferita nel nuovo altare (parte delle chiavi necessarie per estrarla erano conservate – coma avviene ancora oggi – dal Comune).
In base allo stesso progetto venne più tardi completata anche la nuova facciata, e realizzati infine il pulpito esterno di Donatello e Michelozzo, e il terrazzo interno, di Maso di Bartolomeo, destinati unicamente alle ostensioni della Cintola.
La Cintola fu conservata inizialmente in uno scrigno di avorio, poi nella splendida Cappella (1447 circa) di Maso di Bartolomeo. La reliquia, conservata piegata, veniva svolta e mostrata dal proposto, con le mani guantate, durante le ostensioni; per proteggerla maggiormente nel 1638 fu realizzato l’attuale reliquiario in cristallo di rocca.

 

Ostensione
L’ostensione del settembre 2015 (foto Anita Scianò)

Il culto per la Cintola
Fin dalle origini – ma soprattutto dal Cinque-Seicento – oltre che nelle ostensioni solenni la Cintola fu spesso mostrata a papi, prelati, principi o personaggi della corte (la tradizione accenna anche alla presenza di san Francesco; sicuramente la venerò san Bernardino), ma fu anche esposta in caso di epidemie, maltempo, siccità, per supplicare l’aiuto della Madonna.
Se il culto popolare si mantenne fortissimo, la devozione della corte fiorentina diminuì notevolmente nel granducato lorenese; Pietro Leopoldo a fine Settecento riteneva il culto della Cintola una superstizione, e con lui concordava il vescovo di Pistoia e Prato Scipione dei Ricci. Ma bastò il sospetto che il vescovo volesse far demolire l’altare della Cintola a provocare nel 1787 un grave tumulto popolare; pochi anni dopo il Ricci si dimise dal suo incarico.
Nel corso dell’Ottocento non mancarono ostensioni straordinarie per ospiti illustri (Pio VII, Pio IX), e anche dopo l’Unità di Italia non venne meno il concorso dei magistrati cittadini alle ostensioni pubbliche, fino alla frattura del 1901, quando l’amministrazione pubblica, di sinistra, rifiutò di presenziarvi, e nel 1904 rese le chiavi dell’altare alla chiesa (le richiese solo nel 1931, dopo i Patti Lateranensi).
Ma ancora nel Novecento la religiosità pratese che si esprimeva nella pietà popolare è stata incentrata sulla sacra Cintola, come mostrano i due congressi mariani diocesani (1937, 1949), la grande processione del 1945, al termine della II Guerra mondiale, la Peregrinatio Mariae del 1949 o le recenti celebrazioni dell’anno mariano (1988), del 1995 (VI centenario della traslazione della Cintola nell’attuale cappella), del grande Giubileo del 2000, fino alle celebrazioni (2003-2004) per il 350° dell’istituzione della Diocesi di Prato, che sottolineano la persistente capacità della Cintola di legare, di stringere la comunità pratese alla Vergine, evidenziando il legame ancora saldo tra valori e simboli della storia civile e della tradizione religiosa pratese.

 

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