Corpus Domini 2015

07-06-2015

Carissimi fratelli e sorelle,
sacerdoti e diaconi, religiosi e religiose, carissimi seminaristi e carissimi fedeli tutti,
ancora una volta abbiamo rinnovato nel segno della processione l’immagine di un popolo che cammina con il Signore verso la Gerusalemme celeste. Non siamo dei vaganti nella storia, senza identità e senza meta, senza un’anima e senza un progetto. Il popolo che appartiene a Dio, il popolo delle Beatitudini del Vangelo, il popolo dei discepoli missionari del Vangelo, sa attraversare tutte le contrade, ordinate o disordinate, ed affronta tutte le stagioni, favorevoli ed avverse, senza spaventarsi e senza lasciarsi incantare da illusioni idolatriche e ammaliatrici.

E’ vero: il male, nelle sue molteplici forme che toccano persone e istituzioni, sembra sommergerci, travolgerci in una condizione senza speranza. Ma la presenza misteriosa, formidabile e consolante insieme, del divino, germina quel bene che toglie ragioni al male ‘inevitabile’, sia nei cuori di tante persone, che nella articolazione complessa della nostra società. La Chiesa ha l’incredibile capacità di vivere in contesti estremamente diversi nel tempo e nello spazio, mentre aiuta l’umanità a trovare a poco a poco le sue autentiche dimensioni.

Mentre ricordiamo in questo momento tutti i nostri fratelli e sorelle assenti e in modo particolare vorrei ricordare i miei sacerdoti che non sono presenti qui stasera con noi; mentre ricordiamo gli ammalati e chi attende alla loro cura, i carcerati e chi ha il delicato compito di custodirli e immetterli di nuovo nella convivenza comune, gli anziani e quanti sovrintendono l’ordinata vita civile e tanti altri ancora che per motivi diversi non hanno potuto essere qui con noi, il nostro pensiero orante e solidale non può non andare adesso anche ai cristiani perseguitati in diverse parti del mondo, particolarmente nel Medio Oriente. Grazie a Dio qui possiamo ancora esprimerci in libertà e pubblicamente, ma altrove si censura come pericolo e tradimento il riferimento esplicito a Gesù e al suo Vangelo, alla Chiesa e al Papa come segno visibile di quella unità spirituale che è garantita dall’azione dello Spirito Santo.
Esaltiamo la misericordia di Dio che ci fa questo dono, e diveniamo vigilanti, non contro qualcuno, ma attenti a dare fondamento ideale e istituzionale a questa nostra identità che è costata tante lacrime e sangue, tanto cammino attraverso una continua e spesso sofferta evoluzione culturale e giuridica.

In mezzo a noi sta il Cristo, presente realmente, e non solo in simbolo, nell’Eucaristia. E’ Lui l’anima della nostra identità. E’ Lui che ha scelto di rimanere lungo i secoli sempre con noi in questo mirabile sacramento dell’Eucaristia, perché potessimo avere la certezza di incontrarLo e di accoglierLo. E’ sempre Lui che ci spinge ad uscire incontrando tutti, pensosi e distratti, buoni e cattivi, credenti o indifferenti, poveri ed abbienti, perché a nessuno manchi l’opportunità di incontrare un amore leale e magnanime che dà la forza per vivere la vita con le sue difficoltà, senza soccombere.

Popolo di Prato, popolo dono del Signore, popolo mio, riconsidera il riferimento a Gesù e al Vangelo come risorsa di dignità e di libertà, di speranza e di sapienza, di concretezza e di idealità. Nelle case e nelle scuole, tra amici, attraverso i mezzi della comunicazione, riconsideriamo le tematiche religiose serie, senza lasciarci ingabbiare dal pregiudizio, o dallo scandalismo di comportamenti scorretti che talvolta non risparmiano neanche coloro che si fregiano del nome di cristiani, sempre esecrabili certamente, quando accertati; riaccogliamo le istanze e le tematiche del Vangelo per la valenza fondamentale che queste hanno nella concezione dell’uomo e conseguentemente della società che da esse deriva. E’ vero talvolta gli esempi negativi ci sconvolgono o per lo meno ci lasciano pensosi, ma, non dimentichiamo, che l’eroismo, quello di ogni giorno, consiste nel credere in un’idea dopo che si è visto la miserabilità di persone che la rappresentano; il Signore è oltre a tutto questo; è un Dio vero, un Dio pulito. Non esiliamo Gesù Cristo tra le credenze superstiziose: “il caso Gesù”, il “processo a Gesù Cristo” va riproposto e riaffrontato in maniera serena e documentata. Scopriremo così l’uomo-Dio con il suo volto di pienezza, di bontà e magnanimità, con la passione per gli ultimi e gli scartati, con il desiderio di una giustizia che chiama in causa tutti. A qualsivoglia conclusione ciascuno giunga, rispettosi come siamo della coscienza individuale, usciamo dalle secche dello scontato e del qualunquismo, dal vuoto e dal banale. Ritorniamo a contemplare il Volto di Gesù. Riportiamo anche ai nostri ragazzi e giovani la questione del credere in Gesù Figlio di Dio, come possibile fonte di speranza e di vita piena.

Di fronte all’imperversare della triste attualità dei vizi capitali molti sorridono. Forse i classici errori dell’uomo ricordati da quell’antico ‘settenario’ li diamo come irrimediabilmente inevitabili sia per le singole persone che per i gruppi sociali. In cima alla lista sta la superbia, l’orgoglio. Il punto di partenza di ogni esilio di Dio dalla nostra vita è la pretesa di voler essere come Dio, di mettere l’Io al centro, di non riconoscere la propria creaturalità e con-creaturalità con gli altri. Tutti gli altri vizi ne sono derive ineluttabili: voler avere tutto per sé (invidia), non condividere con gli altri (avarizia), usare gli altri per il proprio piacere (lussuria), l’implacabile aggressività (ira), l’ingordigia che fa passare dalla tavola al bagno (gola), il lasciarsi andare al gusto di non operare (accidia). In questo settenario, o prima o poi, tutti incappiamo, noi preti non meno degli altri uomini e donne. Ma la misericordia di Dio non fa chiamare il male come fosse un bene; il suo perdono, sempre disponibile, è pagato a caro prezzo con il sacrificio di Gesù sulla croce, ed è per chiunque riconosce il proprio peccato. La misericordia contiene sempre un appello alla conversione, senza la quale essa cede il passo all’ingiustizia. Il Dio misericordioso e lento all’ira, ricco di grazia, è anche giusto. Sarebbe strano che nel nome della misericordia non si ricomponesse nella giustizia la convivenza umana. Dal Crocifisso promanano parole di perdono, ma dalla sua risurrezione viene proclamato il riscatto dalle ingiuste sofferenze della croce, dalle strutture di ingiustizia e sopraffazione, di odioso predominio della violenza dell’essere umano sull’essere umano.

Popolo di Prato, mia amata Chiesa, non solo evita di far conoscere il male quasi fosse un vanto, ma, soprattutto, non compiere il male che è fonte sempre di sofferenza e di ingiustizia, sia a breve che a lungo termine! Trova nel Signore il gusto e la forza di un nuovo umanesimo che sa leggere i segni dei tempi e parlare il linguaggio dell’amore vero. Ritorna a pentirti dei tuoi peccati! Non aver paura di Dio, sempre disponibile al perdono! Apri le porte della tua vita a Cristo! Non difenderti da Lui! Riscopri la gioia e la bellezza del sacramento della Riconciliazione!
L’anno Santo Straordinario della Misericordia, preceduto per noi a Prato dalla visita apostolica del Papa, lo vogliamo vivere non come un rito, ma come una passione dell’anima umana a realizzare la fraternità e la giustizia, la comunione autentica sia nella comunità ecclesiale che nella società civile.

L’esperienza condivisa della vita e della missione di Gesù Cristo che sperimentiamo nell’Eucaristia, particolarmente nella Messa domenicale, ci fa vivere con consapevolezza spazi di vita buona ispirata al Vangelo. Non posso non richiamare la necessità di un riposo festivo che consenta alle famiglie di ritrovarsi insieme ed alla famiglia di Dio, la Chiesa, di riunirsi: le esigenze commerciali non siano l’ultima parola del nostro vivere!
La presenza del Signore si coglie quando siamo capaci di coglierLo nella fede, non nei segni dell’onnipotenza e del miracolistico, della forza e dell’imposizione, ma della fragilità e disponibilità di un pezzo di pane, di un bimbo, di un povero, di un profugo, di un malato. Dio è presente come vittima e tra le vittime, sulla croce di circa duemila anni fa e nelle infinite croci degli uomini di oggi. E noi adorandoLo nell’Eucaristia e servendoLo nei fratelli siamo alla scuola di questa sua continua manifestazione, perché impariamo ad amare come Lui ci ha amati e ci ama. In Lui vediamo la nostra croce e la croce degli altri. Avremo com-passione, cuore di benevolenza, sosta samaritana, disponibilità attenta e intraprendente, audacia di chi sa che Dio è fedele alle sue promesse? Come con poca farina e un po’ d’acqua nella potenza dello Spirito si fa l’Eucaristia, così con la pochezza dei nostri mezzi e la pusillanimità dei nostri cuori, messi a disposizione del Signore, compiamo parabole e opere di nuova umanità. E tutto, proprio tutto, può diventare occasione di grazia ricevuta e donata. Siamo noi, sacerdoti e fedeli, che continuiamo la presenza di Cristo nella storia, la sua vittoria pasquale sull’egoismo e sulla morte, sulla disperazione e sulla dispersione. Quando “annunciamo la ‘sua’ morte e proclamiamo la ‘sua’ risurrezione”, quando accogliamo il suo imperativo pressante: “Fate questo in memoria di me”, comprendiamo che la strada della nostra vita di discepoli missionari è ormai segnata: immersi nell’amore, sappiamo irradiare consolazione e gioia.

Signore Gesù, vogliamo “rimanere” nel tuo amore; accogliamo le potature necessarie alla nostra vitalità perché possiamo portare quel frutto che la tua Provvidenza ci domanda per il bene della comunità.
Grazie, Signore, per il tesoro di grazia che Tu hai posto tra le nostre case: la tua presenza sacramentale nell’Eucaristia conservata nelle nostre chiese. Tu sei sempre lì ad attenderci, ad accoglierci, ad ascoltarci, a riversare su di noi il tuo perdono, ad effondere il tuo Spirito.
Grazie, Signore, perché ci costituisci popolo tuo, tua vivente carne nella storia, continuazione della tua opera di salvezza.

Grazie, Signore Gesù, perché per noi sei roccia e tenda, pane e compagnia, fuoco ardente e brezza riposante, barca e vento che ne gonfia la vela; amico e sposo; maestro e medico delle anime nostre; via, verità e vita, salvezza e redenzione.

Grazie per il dono della Chiesa, di questa Chiesa di Prato, per la fierezza umile e grata di appartenervi, per la spinta a lavorare per la sua purezza con il cammino personale della conversione e della santità, senza acide intolleranze verso le imperfezioni altrui, e le chiacchiere sleali che minano diabolicamente la fraternità e l’onore degli altri.

Grazie per il dono dei nostri preti e diaconi, per le famiglie cristiane, per le comunità religiose e i laici consacrati, per i nostri missionari in Ecuador e nel mondo, per i nostri seminaristi, per i giovani che portano latente nella loro vita la tua chiamata; grazie per l’inquietudine che poni nel loro cuore e che li spinge a cercarti finché non ti abbiano trovato; grazie per i tantissimi cristiani laici di questa nostra amata Chiesa Pratese che mi hai chiamato a servire.

Grazie per questo momento storico che ci dai di vivere: confidiamo che non ci mancherà il tuo Spirito per discernere e compiere la volontà del Padre.
Per la intercessione di Tua e nostra Madre santissima che da questo pulpito tante volte benedice città e diocesi, prenditi cura di noi, siamo tuoi, e scenda questa sera la tua benedizione su tutti noi che in Te confidiamo. Così sia!