Piano Pastorale

«Scendi, devo FERMARMI a casa tua»

CONVEGNO PASTORALE DIOCESANO

16 settembre 2025

Chiesa di San Domenico

Atti 4,23-31

23Rimessi in libertà, Pietro e Giovanni andarono dai loro fratelli e riferirono quanto avevano detto loro i capi dei sacerdoti e gli anziani. 24Quando udirono questo, tutti insieme innalzarono la loro voce a Dio dicendo: «Signore, tu che hai creato il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che in essi si trovano, 25tu che, per mezzo dello Spirito Santo, dicesti per bocca del nostro padre, il tuo servo Davide:

Perché le nazioni si agitarono e i popoli tramarono cose vane?

26Si sollevarono i re della terra e i prìncipi si allearono insieme contro il Signore e contro il suo Cristo; 27davvero in questa città Erode e Ponzio Pilato, con le nazioni e i popoli d’Israele, si sono alleati contro il tuo santo servo Gesù, che tu hai consacrato, 28per compiere ciò che la tua mano e la tua volontà avevano deciso che avvenisse. 29E ora, Signore, volgi lo sguardo alle loro minacce e concedi ai tuoi servi di proclamare con tutta franchezza la tua parola, 30stendendo la tua mano affinché si compiano guarigioni, segni e prodigi nel nome del tuo santo servo Gesù».

31Quand’ebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano radunati tremò e tutti furono colmati di Spirito Santo e proclamavano la parola di Dio con franchezza.

Intervento del Vescovo Giovanni Nerbini

Carissimi fratelli e sorelle…

Grazie per essere qui presenti stasera, segno importante, prezioso…di una sensibilità che singoli e rappresentanti delle comunità cristiane mantengono viva circa il compito che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore e di uno stile che essa deve coltivare con scrupolo

Prima di indicare le nuove tappe che insieme saremo chiamati a compiere, richiamo brevemente il cammino che ci ha visti impegnati in questo anno e che non può essere sospeso o archiviato.

Nel brano proclamato di Atti 4,23-31 Pietro e Giovanni, rilasciati dopo l’arresto, tornano nella loro comunità di fratelli e raccontano le cose che i sommi sacerdoti e gli anziani avevano detto loro (gli avevano intimato il silenzio, trasmesso la proibizione di parlare di Gesù, nel nome di Gesù).

E’ il valore della comunità sottolineato ripetutamente negli Atti degli apostoli perché essa, cioè la FRATERNITÀ, è il luogo dove noi viviamo da figli…. se Cristo ha detto che Dio è Padre e che noi siamo figli, REALIZZIAMO l’essere figli soltanto nella comunità dei fratelli.

Anche Paolo e Barnaba, lo abbiamo visto lo scorso anno, rientrano nella comunità di Antiochia al termine del loro primo viaggio missionario.

Quindi la Chiesa diocesana, e poi la comunità parrocchiale… non sono un optional per qualcuno ma sono il luogo necessario dove viviamo la nostra identità. Nessuno vive il suo cristianesimo, il suo essere figlio da solo. In caso contrario non è figlio, non è fratello!

E’ davvero doloroso constatare in quante differenti situazioni non pochi percorrono itinerari propri, sia a livello della comunità diocesana che parrocchiale. Si verificano non infrequentemente situazioni nella quali, mentre ci si incontra convocati dal vescovo, quel particolare gruppo, quella sera stessa, ha il proprio specifico incontro.

Nel suo primo incontro con tutti i vescovi italiani Papa Leone ha ribadito questa assoluta necessità:

Vorrei lasciarvi alcune esortazioni per il prossimo futuro. In primo luogo: andate avanti nell’unità, specialmente pensando al Cammino sinodale. Il Signore – scrive Sant’Agostino – «per mantenere ben compaginato e in pace il suo corpo, così apostrofa la Chiesa per bocca dell’Apostolo: Non può dire l’occhio alla mano: non ho bisogno di te; o similmente la testa ai piedi: non ho bisogno di voi. Se il corpo fosse tutto occhio, dove l’udito? Se il corpo fosse tutto udito, dove l’odorato?» (Esposizione sul Salmo 130, 6). Restate uniti e non difendetevi dalle provocazioni dello Spirito. La sinodalità diventi mentalità, nel cuore, nei processi decisionali e nei modi di agire.” (Papa Leone XIV ai vescovi CEI 17.06.2025)

Chi nutrisse ulteriori dubbi e riserve può rileggersi le lettere di S. Ignazio di Antiochia, molto esigente e severo in proposito:

Nessuno senza il vescovo faccia qualche cosa che concerne la Chiesa” (Lettera ai cristiani di Smirne).

Il testo di Atti proclamato presenta altri tre spunti importanti: la comunità cristiana legge nella fede e nella preghiera ciò che sta accadendo e, lontano da ogni sterile recriminazione e lamentela, capisce che tutto il male che i potenti ardiscono altro non ha fatto che realizzare il bene che Dio aveva preordinato.

Carissimi, abbiamo sofferto e riflettuto insieme in questi tempi, anche con preoccupazione, sulle grandi crisi che attanagliano l’umanità dalla guerra alle forti ingiustizie.

Abbiamo colto le fatiche che la chiesa vive in un mutato contesto sociale e culturale, che guarda ora con sospetto ora con indifferenza alla presenza ed all’impegno dei cristiani.

Non pochi si sentono scoraggiati e si arroccano in difesa di un passato che è ormai lontano nel tempo.

Ma la storia, come il testo ci ricorda, è nelle mani di Dio che porta decisamente avanti, anche quando appare vero il contrario, la sua opera di redenzione e salvezza.

Tutto il male operato non frena l’opera di Cristo.

Quanta serenità e fiducia infonde questa rivelazione! Quanto incoraggiamento trasmette! Quale preghiera genera!

La comunità infatti rivolge una preghiera accorata al Signore, non perché i nemici siano sconfitti e i cristiani liberati dalle loro grinfie e vincitori. Non per salvare la pelle! Ma viene chiesto di parlare la Parola con tutta franchezza. Straordinario!

E proprio questo frutto nella fede e questa disposizione del cuore sfociano in una nuova Pentecoste: lo Spirito santo scende a rendere possibile ciò che Dio vuole e i fedeli sono disponibili a dare, collaborando con Lui.

La comunità è resa capace e forte: in grado di compiere ciò che il Signore le ha ordinato e che essa stessa ha fatto proprio nella preghiera.

Ci viene fatto comprendere come i cristiani si radunano sì, ma non si appartano, neppure nei momenti critici dell’incomprensione e delle persecuzioni e restano a disposizione di Dio per i fratelli.

Su questa lunghezza si pone la seconda indicazione che ci ha offerto il Santo Padre Leone XIV:

Guardate al domani con serenità e non abbiate timore di scelte coraggiose! Nessuno potrà impedirvi di stare vicini alla gente, di condividere la vita, di camminare con gli ultimi, di servire i poveri. Nessuno potrà impedirvi di annunciare il Vangelo, ed è il Vangelo che siamo inviati a portare, perché è questo che tutti, noi per primi abbiamo bisogno per vivere bene ed essere felici!” (Leone XIV 17.06.2025)

Lo scorso anno siamo partiti dalla domanda: nella nostra chiesa, nelle nostre comunità sembrano così pochi i “portatori” di doni, membra vive del Corpo, perché?

Perché tanti battezzati sono solo fruitori di servizi anziché incaricati di ministeri?

Sembra ridotta la presenza di persone che “mettono i propri doni, riconosciuti dalla comunità, a servizio degli altri” per l’edificazione del Corpo!

Tale urgenza è stata ribadita da Papa Leone che ha concluso l’esortazione ai vescovi dicendo: “abbiate cura che i fedeli laici, nutriti dalla parola di Dio e formati nella dottrina sociale della chiesa, siano protagonisti dell’evangelizzazione nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, negli ambienti sociali e culturali, nell’economia, nella politica”.

Per far fronte concretamente a questa esigenza abbiamo convenuto sulla necessità di formare i nostri laici, perché solo una fede adulta può esprimersi in un servizio rispondente alle necessità del momento.

Per questo negli ultimi due anni la nostra scuola di teologia si è attrezzata per mettere a disposizione di tutti la ricchezza del patrimonio intellettuale, spirituale, biblico della Chiesa.

Don Marco, Don Alberto, Don Gianni e tutti i docenti della scuola di teologia hanno elaborato un serio progetto di formazione mettendolo a disposizione di tutti.

Angela Tonini ha predisposto un programma pluriennale di formazione alla ministerialità, offerto a tutti coloro che intendono avvalersene. Proposta che ha raccolto da subito il consenso di molte persone.

Il primo anno si sono iscritti in 29, il secondo anno le persone registrate sono state 40, delle quali 16 provenienti dal primo anno.

Nel percorso formativo si è cercato di integrare varie dimensioni (spirituale, teologica, pastorale, relazionale), con un metodo esperienziale (interazione nel gruppo, incontri di preghiera e condivisione, laboratori) fondato sulla centralità del Primo Annuncio e sulla via dell’“ascolto”, in relazione con se stessi, con gli altri, con Dio, con la realtà.

L’anno appena concluso si è articolato in due moduli. Il primo dedicato a Sapienza biblica e vocazione dell’uomo. Il secondo incentrato su una Iniziazione alla ministerialità.

Dal gruppo è emersa la gioia di avere sperimentato il dono della condivisione di una “fede vissuta”, in un percorso unificante, riscoprendo la grazia del Battesimo. La centralità del Primo Annuncio ha quindi scaldato il cuore, alimentando la fraternità e la riscoperta della ministerialità battesimale.

Mentre portiamo avanti questo ambizioso ma realistico programma in maniera molto semplice ma suggestiva e concreta il Papa ci ricorda il nostro specifico: “nessuno potrà impedirvi di stare vicino alla gente, di condividere la vita, di camminare con gli ultimi, di servire i poveri”

A volte elencando le sfide che la chiesa si trova ad affrontare rimaniamo intimoriti dalla complessità dell’impegno.

Papa Francesco a questo proposito, rivolto ai volontari, pochi mesi fa si esprimeva così:

«Per strada e tra le case, accanto ai malati, ai sofferenti, ai carcerati, coi giovani e con gli anziani, la vostra dedizione infonde speranza a tutta la società. Nei deserti della povertà e della solitudine, tanti piccoli gesti di servizio gratuito fanno fiorire germogli di umanità nuova: quel giardino che Dio ha sognato e continua a sognare per tutti noi».

Se la fede è autentica, ricordava il pontefice, non è mai un esercizio individuale.

Papa Leone ci ricorda che c’è un primo passo possibile che tra l’altro coglie lo spirito, il senso, la natura della parrocchia stessa: casa tra le case, vicino ad altre case, indicando un desiderio, una volontà, di prossimità. Non è una questione geografica, una collocazione logistica ma specifica il nostro essere per gli altri, portatori dell’acqua della speranza, comunicatori di una esperienza di vita che illumini il quotidiano con tutte le sue fatiche – e a volte tragedie – con la presenza stessa di Cristo.

Non fare proseliti, ma arricchire molti con il tesoro che noi per primi abbiamo scoperto e cercato di vivere.

Come possiamo vivere, esprimere questo invito a stare vicini alla gente? Mettiamoci ancora in ascolto della Parola.

Lc.19,1-10

1Entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, 2quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, 3cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. 4Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. 5Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. 6Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. 7Vedendo ciò, tutti mormoravano: “È entrato in casa di un peccatore!”. 8Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: “Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. 9Gesù gli rispose: “Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. 10Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”.

E’ bellissimo il celebre racconto di Zaccheo.

Gesù passa attraverso questo villaggio che ancora possiamo percorrere con una certa emozione e nel mezzo del quale si trova un sicomoro che le guide indicano con enfasi.

Il suo passaggio stimola interesse o anche solo curiosità che costringe il piccolo Zaccheo a salire sull’albero per vedere passare questo personaggio ricercato e seguito dalle folle entusiaste.

E sull’albero lo coglie quella straordinaria parola che sorprende tutti, scandalizza molti ma entusiasma lui, il peccatore Zaccheo.

«Scendi che oggi devo fermarmi a casa tua».

È importante notare che Zaccheo non chiede nulla. È Gesù che fa tutto! Cosa precisamente? Legge una vita confusa, imbrigliata, impastata dagli affari del mondo e segnata dal peccato, ma anche un desiderio non spento di autenticità, di verità, di amore.

Mancano qui le parole e i gesti consueti: non il perdono dei peccati; non il tocco degli occhi e degli orecchi; non il sollevare la piccola morta prendendola per mano.

Solo un invito.

«Scendi che oggi devo fermarmi a casa tua».

Quel Gesù che “passa” per tutti, per lui ha pensato una “SOSTA” particolare. Non un passaggio veloce, ma il FERMARSI. Al Figlio di Dio interessa questo piccolo uomo peccatore smarrito, disprezzato e forse invidiato dai suoi concittadini.

A Gesù interessa farsi presente e l’evangelista non gli mette in bocca altre parole, né descrive altri gesti del Signore.

È Zaccheo che rivela cosa la presenza di Gesù nella sua casa ha prodotto come un terremoto nella sua esistenza!

Come dire che tutto è racchiuso in quel semplice PRENDERE L’INIZIATIVA di varcare una soglia, stabilire un contatto, una relazione significativa per incontrare un uomo prigioniero del suo peccato. è la semplice presenza, certo amorosa, che accende la scintilla e provoca la conversione.

In passato noi cristiani abbiamo esercitato il giudizio, la condanna.

Vogliamo scegliere, riscoprire -guidati da Gesù- la prossimità.

E cosa si trova nelle “case” della nostra città? Di tutto! Spesso un certo benessere, se non una vera e propria ricchezza. Certo non manca il necessario per vivere… Ma quanta solitudine, toccata con mano dai sacerdoti durante l’annuale benedizione delle famiglie; quanto disorientamento e sfiducia per un mondo che sembra rinnegare tanti valori evangelici; quanta preoccupazione nei genitori e più in generale nelle famiglie impegnate nella difficile opera di educazione e formazione di bambini e giovani che si scontrano con una mentalità mondana che seduce e pare fare terra bruciata di tutti gli insegnamenti e le testimonianze impartiti.

Quanta mestizia negli anziani che provoca la morte della speranza e l’allontanamento dalla vita stessa.

Ho conosciuto la storia di un giovane lucchese, Eolo Giordani, rimasto paralizzato per un incidente sul lavoro all’età di 14 anni. La paralisi che da una parte lo ha immobilizzato a letto, dall’altra lo isola dagli uomini: la disgrazia perciò era duplice e colpiva corpo e spirito, facendolo precipitare in un baratro di solitudine e disperazione fino a farlo gemere: «Voglio morire! Perché i nostri defunti non mi ottengono la morte dal Signore!».

Qualcuno veniva a trovarlo, ma si capiva che venivano per un atto di compassione, ed Eolo si ribellava a quel compatimento che gli accresceva il senso dell’impotenza. E tanto più si ribellava quanto più i visitatori finivano per fargli intendere che egli versava in uno stato di minorità e di miseria, senza paragoni.

Ormai non piangeva più: le lacrime gli si erano nel cuore pietrificate.

Finché un giorno nella noia di quella immobilità, in quella stanzetta povera, senza distrazioni entrò un giovane medico che parlava un linguaggio nuovo: parlava di amore, di Gesù.

«Come scendevano strane nella mia anima quelle parole! Ma a poco a poco la penetrarono come fasce di luce in un mondo di tenebre». La sua vita si trasforma: E il povero mendicante ha scoperto in se stesso il tesoro prezioso e diventa un testimone della vita nuova.

A fronte di tanta povertà e sofferenza riscontriamo fatiche e carenze

Il 13 febbraio scorso, nel contesto delle visite alle strutture sanitarie, ho visitato il KEPOS, associazione di volontariato che accoglie e accompagna i disabili: bellissima struttura, bellissima realtà umana.

Mi si è avvicinata una signora, madre di un giovane che stavo salutando, dicendomi: «Otto mesi fa ho chiesto al mio parroco -è un parroco di un’altra diocesi- di venire a trovare mio figlio e portargli la comunione”. In otto mesi non l’ho mai visto». La sera stessa ho chiamato il vicario generale, presentandogli il caso e ricevendo assicurazioni: «Il parroco è nuovo, molto bravo e attento. Lo informo subito». Ho richiamato immediatamente la signora riferendo le parole rassicuranti del mio interlocutore. Risposta: «Ma io ne ho parlato proprio con lui otto mesi fa quando è arrivato!».

Al contrario è stata illuminante la testimonianza riportata in uno scritto di Mons. Mani relativa ad una catechista:

«Il parroco mi ha fatto ministro straordinario dell’Eucarestia, e il più bel giorno per me è il primo venerdì del mese: prendo Gesù e lo porto per tutto il quartiere dai malati.

E’ una cosa bellissima. Mio marito, che fa il netturbino, mi ha detto: “Sai che faccio? Prendo un giorno di ferie e vengo con te”. Abbiamo una macchinuccia vecchia e scassata, e mi dispiace per Gesù, ma non abbiamo di meglio. Però il giovedì sera mio marito va a lavarla e pulirla tutta, anche dentro, perché ci deve entrare Gesù».

La cosa che sorprende in questa storia non è tanto l’incarico di ministro straordinario dell’Eucarestia, affidato alla signora, quanto piuttosto il coinvolgimento del marito che lava l’auto perché lì entra Gesù, per raggiungere ogni luogo della parrocchia, ogni casa.

Ho provato ad immaginare quanto doveva essere ricco e fraterno questo entrare in quelle case da parte di persone così semplici ma tanto ricche!

In questo nuovo anno dovremo iniziare a curare la preparazione più specifica per essere all’altezza del compito ricordatoci dal Papa di essere vicini alla gente (non soltanto come ministri dell’Eucarestia) e la nostra priorità sarà imparare a “fermarsi a casa del fratello”.

Perciò ogni consiglio pastorale è chiamato a curare una spiritualità più marcatamente missionaria proponendo:

  1. un adeguato itinerario di preghiera. Solo se siamo intimi con il Signore diventiamo sensibili alle necessità dei fratelli ed esperti in umanità per raggiungere tutti.

  2. Valorizzare in chiave missionaria la dimensione liturgico-sacramentale. In particolare, ricordare il valore e il senso di quell’«Ite missa est» che è esattamente l’invio alla missione rivolto a tutti i partecipanti alla Santa Messa.

  3. Prepararci ad entrare nelle case per portare la gioia del Signore presente nella nostra vita, curando particolarmente uno stile evangelico.

  • L’accoglienza di ogni persona, lontani da ogni giudizio e pregiudizio.

  • Un ascolto profondo ed empatico.

  • La condivisione sincera del vissuto di ciascuno (piangete con quelli che sono nel pianto…).

  • L’accompagnamento nelle prove e nelle difficoltà.

  • La costanza e l’assiduità nella cura.

  1. Conoscere meglio la realtà della nostra parrocchia, del nostro territorio e le situazioni che in esse si nascondono.

Dopo avermi illustrato tutte le sue paure e fatiche, ed aver ascoltato le mie osservazioni, un giovane universitario mi chiedeva da dove potessi attingere fiducia e rifuggire le paure La risposta è semplice: sforzarsi di vivere ogni giorno la comunione col Signore. Accogliere la presenza del Risorto, che ha sposato la nostra umanità: fa sua ogni nostra fatica e alimenta ogni nostra speranza. È il dono grande della fede, della confidenza in un Padre buono, che ci ama e ci vuole tutti figli nel Figlio, suoi testimoni nel sacramento della fraternità, «per la vita del mondo» (Gv 6,51).

 

 

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Il documento distribuito dal vescovo Giovanni nella prima serata del Convegno

 

 

 

 

 

I documenti pastorali dell’episcopato del vescovo Giovanni Nerbini

Anno pastorale 2024-2025

Anno pastorale 2023-2024

Anno pastorale 2022-2023

Anno pastorale 2021-2022

Anno pastorale 2020-2021

Anno pastorale 2019-2020

 

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