Veglia di Pentecoste

Omelia di mons. Franco Agostinelli
07-05-2014

Il mio saluto a tutti voi, sorelle e fratelli carissimi,
“ecco come è bello e quanto è soave che i fratelli stiano insieme”, dice il salmista.
E’ con grande gioia che saluto ciascuno di Voi e i gruppi, le comunità, i movimenti che voi rappresentate. Vi ringrazio per questa partecipazione che simbolicamente rappresenta il convenire in unum di tutta la nostra amata Chiesa diocesana, in comunione profonda con il Papa e con le altre Chiese che nel mondo questa sera vegliano oranti e gioiose. Un coro unanime si eleva a Dio per invocare la pace sul mondo, in modo particolare sul Medio Oriente nel momento in cui il Presidente d’Israele e della Palestina s’incontrano, invitati da Papa Francesco a Roma, per discutere la sorte dei loro popoli. Che il Signore conceda loro e a tutti il grande dono della pace.

Noi siamo qua, con Maria S.S., riuniti nel nostro Cenacolo, che è la Chiesa Cattedrale, segno della presenza e dell’unità della Chiesa pratese; infatti “tutti là siamo nati”, al Cenacolo, in quel luogo che è diventato il modo di essere, proprio della comunità dei discepoli missionari del Signore, mossi dallo Spirito Santo per andare sulle vie del mondo a porgere l’acqua viva che disseta e il ristoro che conforta e rinvigorisce. Spiritualmente anche noi, pellegrini verso Gerusalemme, accogliamo l’invito tante volte ripetuto di Papa Francesco ad essere “Chiesa in uscita”, comunità missionaria, popolo delle Beatitudini, casa e scuola di comunione e di irradiazione della gioia e della pace del Vangelo, primi frutti dell’azione dello Spirito Santo accolto.

Siamo a cinquant’anni dall’inizio del Concilio e a venticinque anni dalla celebrazione del Sinodo Diocesano: due eventi suscitati dallo Spirito, l’uno di carattere universale e l’altro locale, che hanno rappresentato un soffio di Pentecoste in vista della coesione e del rinnovamento, della conversione al Vangelo e delle riforme necessarie per rispondere alle mutate esigenze del tempo. Anche l’attuale nostro Piano Pastorale Diocesano che ha come slogan “Chiesa, nostra passione missionaria” è pienamente in linea con questo grande cammino comunitario indicatoci autorevolmente dal Magistero.

Oggi si conclude il cammino della Pasqua, che ha il suo compimento nella Pentecoste. Uno dei tratti salienti di questa festa di Pentecoste, è indubbiamente il coraggio, frutto dell’effusione dello Spirito, che ha trasformato i discepoli, da uomini paurosi e titubanti quali erano, in apostoli del Vangelo, testimoni coraggiosi in ogni contrada della terra e in ogni contraddizione della storia. “Coraggio”, lo dice l’etimo, vuol dire: ciò che viene dal cuore, dall’azione del cuore (“cor-agere”). Lo Spirito Santo formi in noi e ci dia quel cuore nuovo che sappia qualificare, la lealtà, l’impegno, la tenacia per costruire il bene comune e ci doni la capacità di perdonare, come caratteristiche proprie del discepolo – missionario di Gesù – vincendo paura e temerarietà, tentazione di fuga e di evasione.

Anche nel nostro oggi, alla luce della grande icona pentecostale degli Atti degli Apostoli, abbiamo necessità del CORAGGIO DELLA CREATIVITA’, del CORAGGIO DELL’AMORE e del CORAGGIO DELL’ADORAZIONE.

A. IL CORAGGIO DELLA CREATIVITA’
In primo luogo lo Spirito Santo ci libera dalla tendenza al minimo sforzo, che ci spinge a fermarci sul posto, a ripetere in modo stantio i medesimi percorsi, apparentemente rassicuranti, ma in definitiva snervanti di fronte alla constatazione di un raccolto che non c’è, di un popolo a cui non interessiamo più. La novità dello Spirito è fedeltà creativa, che non significa inventare chissà che cosa, ma spinge ad impegnarci nel fare le cose ordinarie con significatività, a rendere “grande” ogni più piccola azione, ogni piccolo gesto. Cogliamo in questa esigenza la grande libertà che è responsabilità propria di chi non ha altro interesse che il disegno di Dio, sia a livello personale, che a livello di gruppo o associazione, che di parrocchia. Questa libertà ci farà accogliere e valorizzare i doni del Signore, sapendo che essi sono un regalo e non qualcosa di acquistabile o conquistabile. Inoltre ci renderà felici di cogliere le diversità come una vera ricchezza ed opportunità, senza ridurre tutto e tutti ad un’unica misura, senza lotte per la supremazia degli uni sugli altri, gareggiando nello stimarci a vicenda, felici del successo degli altri.
Come avremo il coraggio della creatività senza l’affidarci e al Signore e senza fidarci di Lui?
Oggi più di sempre è urgentissima questa necessità: la fede di Abramo, la fede di Maria, la fede di Paolo e della grande schiera dei testimoni che, fidandosi e affidandosi alla fedeltà del Signore, hanno originato un popolo e culture e opere che irradiano la bellezza e la gioia della vita secondo Dio. Evitiamo la chiusura nelle nostre pur significative realtà associative e parrocchiali; siamo riconoscenti dei doni diversi suscitati dallo Spirito per l’utilità comune; preoccupiamoci di lasciare spazio anche all’azione imprevedibile dello Spirito Santo, oltre che alle nostre pur necessarie iniziative; lavoriamo in sinergia gli uni con gli altri, favorendo quel moltiplicarsi di opportunità di bene perché altri abbiano la gioia e la grazia dell’incontro con Gesù; preghiamo perché non manchiamo di nuove famiglie cristiane, di nuovi preti, diaconi e suore e laici consacrati, tutti coinvolti e uniti per l’unica missione.
La fiducia incondizionata in Dio, sempre con uno sguardo di speranza nella giustizia divina che si compie per la nostra salvezza, ci sorregge per andare oltre i nostri desideri e le nostre aspettative, e porterà a noi un frutto ancora maggiore di quanto avremo seminato.
La nostra Chiesa di Prato ha necessità di questa creatività evangelica. Rinnoviamo la nostra tra-dizione plurisecolare cristiana pratese, con lo slancio di chi si fa presente portando il messaggio di speranza e di gioia. Si tratta della Buona Notizia, riferimento essenziale e centrale di ogni progetto di evangelizzazione. L’annuncio del Kerigma, ci dice Papa Francesco, è l’annuncio della misericordia, della gioia del Vangelo. Il Papa ci chiede di imparare a essere madri e padri per chi ci è affidato. Nessuno è superfluo; nel campo di Dio molti sono i semi e fiori che lo Spirito armonicamente suscita per la bellezza della contemplazione e per riempire di senso la vita di tutti. Le nostre diversità sono chiamate a declinare in tutti gli ambiti e gli ambienti della vita familiare e sociale l’unica vera “novità” perenne: il Vangelo di Gesù.

B. IL CORAGGIO DELL’AMORE
Per essere felici bisogna agire contro l’egoismo che spinge o a rinchiudersi in sé o a strumentalizzare gli altri, riducendoli sotto il proprio dominio. Gesù ci dona lo Spirito dell’Amore, quella forza che ci dà la capacità di farci carico, di condividere insieme la quotidianità e i progetti di vita, in famiglia, nelle diverse realtà ecclesiali e nella società civile. L’Amore che nasce dallo Spirito è gioia e sacrificio (sacrum facere!) da viversi insieme.
La felicità non è gratis! Nessuno ama la sofferenza, ben inteso; ma sappiamo che scegliere di amare sempre, come e con Gesù, ci chiede di pagarne il caro prezzo della croce. Quando l’amore si libera anche dalla gratificazione di amare, diventa simile all’amore di Dio, e da Dio riceve energia e forza.
Cari amici, diventiamo collaboratori di Dio nel suo progetto di amore salvifico per il mondo, vivendo la nostra esistenza come missione di servizio e di dedizione piena di tenerezza e di com-passione verso il prossimo, particolarmente verso i piccoli e i poveri. Questo ci renderà estranei alla mentalità mondana, ma tanto vicini al tutto di Dio che è ciascuno dei nostri fratelli e sorelle, che Gesù ci chiede di amare come Lui ci ha amati. Senza contare fatiche e senza accumulare rimpianti (e quindi senza proclami e senza pretese) facciamo tutto quello che dobbiamo e possiamo fare, per quella “civiltà dell’amore” che è speranza e garanzia delle moltitudini.
Il Signore ci vuole poveri sì, ma non poveri di amore, perché solo la via della carità ci apre alla trascendenza e al futuro umano e divino. Quando preferiamo al nostro amor proprio l’amore per Dio e per i poveri, avviene il miracolo della incarnazione del Verbo che continua nella storia. Del resto, che cosa è la vocazione al ministero ordinato o alla vita consacrata, o la vocazione al matrimonio cristiano, se non una narrazione del coraggio di amare, di amare con cuore grande nella ferialità dei nostri giorni? Ricordiamoci: saremo giudicati sull’amore; alla fine della vita quel che conta è aver amato. Ci sarà tanto più facile perseverare in questo Amore, quanto più scopriremo l’Amore che ci ha generati, l’Amore che ci ha redenti, l’Amore che ci santifica continuamente.

C. IL CORAGGIO DELL’ADORAZIONE
Ne ha parlato chiaramente, domenica scorsa, anche Papa Francesco ai fratelli e sorelle del Rinnovamento Carismatico, convenuti allo Stadio Olimpico di Roma.
Cosa significa, questa adorazione? Significa che per essere felici, totalmente felici, dobbiamo trasportare l’interesse finale delle nostre esistenze nell’avanzare quotidiano dei nostri giorni e nell’evolversi del mondo intorno a noi, nel senso e nella pienezza di Dio. Dove trovare la forza e la perseveranza per la creatività e per l’amore, se non attingendo da Gesù, primo nostro Paraclito, il dono del nostro secondo Paraclito? Solo lo Spirito Santo ci dà il gusto delle “cose di lassù”, che in realtà sono quelle di quaggiù vissute nella logica del dono; solo lo Spirito ci dà il coraggio di non staccare mai, il coraggio di gettare un ponte tra ogni gesto di fede, speranza e carità così che si possa passare da uno all’altro senza interruzione.
“Ad-orare”, cioè: “stare vicino al labbro”, pendere dal labbro del Signore, Parola che mi fa vivere, e che non solo mi informa di qualcosa di bello, ma che realizza ciò che comunica. Diventa una necessità la sosta orante ai piedi di Gesù, come i primi discepoli, come Maria, sorella di Marta e Lazzaro, che ha saputo scegliere la parte migliore. Stare con tutta la vita davanti a Dio in rapporto costante con Lui, ci fa immergere nella vita di Dio per immergerci come luce e consolazione nella vita degli altri.
Chi è capace di adorazione, è capace anche di un atteggiamento propositivo, anche quando verrebbe più facile criticare soltanto. Chi è capace di adorare sarà intraprendente nel progettare il proprio futuro e nell’assumere le proprie responsabilità.
Lanciamo il nostro cuore oltre l’ostacolo del “mi sento” o “non mi sento”, del “mi conviene” o “non mi conviene”; scegliamo una regola di vita personale che dica che siamo persone che si fidano del Signore e si affidano a Lui, persone che attendono al servizio del bene comune come servi premurosi e creativi sotto l’ispirazione dello Spirito, persone che sanno riconoscere e accogliere il primato di Dio e le attese del fratello, soprattutto del più povero.
La nostra cultura prevalente è affidata alla sensazione e alla soddisfazione individuale, i cui frutti sono tanta sofferenza e insoddisfazione di fondo, nell’apparenza gaudente degli spensierati. Ebbene, proprio in questo contesto noi osiamo il coraggio di stare da discepoli ai piedi di Gesù, il coraggio di ricevere il mandato missionario da Lui, la grazia del fuoco del Suo Spirito che arde in noi per incendiare di amore questa nostra città ormai variopinta di culture e razze e religioni.

Cari Amici, portiamo il fuoco dello Spirito nelle nostre aggregazioni laicali, nelle parrocchie, nella città. Vitalità, genialità, gioia: non è lo slancio di un momento, ma il risultato di una faticosa e permanente formazione. “Largamente abbiamo ricevuto, largamente diamo”. Siamo pronti a liberare il presente e il futuro dalle forze tenebrose dell’egoismo, della morte, della corruzione, della superficialità, dell’indifferenza?

La Madre di Dio e della Chiesa, la Madre che persevera orante nel cenacolo, ci liberi dall’ansia delle difficoltà e dalla indecisione di chi si affida solo a se stesso. La tenerezza congiunta al coraggio ci faranno crescere nell’audacia apostolica di chi, pur sapendo che ha il dono di Dio in un vaso di creta, sulla parola di Gesù osa prendere il largo, e continuare la Sua pesca miracolosa.

E’ quello che voglio augurare alla mia Chiesa e a tutti voi, cari fratelli e sorelle, che stasera con me, in questo Cenacolo, accogliete la forza dello Spirito Santo, che ci fa liberi e ci dono l’audacia dell’annuncio verso ogni persona che incontriamo nel nostro quotidiano.